sabato 6 marzo 2010

Alice in Wonderland

di Emiliano Sportelli

















Chiudi gli occhi, fai un salto e poi cadi giù ancora e ancora. Fin dove la tua immaginazione potrà portarti? Se riesci a tenere “sveglia” la mente vedrai le cose come non mai, e se sei davvero pronto allora avrai fatto quel passo in più rispetto agli altri e ti sentirai a casa; la casa dove insegui un coniglio bianco, dove accarezzi un gatto che non c’è, dove prendi il tè con un cappellaio che per tua fortuna è davvero matto. La casa sognata da tutti coloro che usano la pazzia per uscire dal tunnel della ragione che spesso è nemica della verità. Alice in Wonderland è tutto questo, un film che ti prende per mano e che per due ore ti fa dimenticare i tuoi impegni di domani, un viaggio che certo non ha eguali e che ti lascia sognare proprio come fa il tuo nipotino all’asilo. È un inno al ritorno del fanciullo interiore; un fanciullo che rimane intrappolato dalle pressioni di una famiglia che ha smesso di credere e vuol trascinarlo in un mondo che per lui è troppo stereotipato.
È questo che accade ad Alice; la sua caduta nella tana del bianconiglio si trasforma in un’ancora di salvataggio, che la fa approdare lontano da una realtà che, ormai, di nuovo non aveva più niente da offrirle, e lo fa seguendo il suo istinto di bambina che, per fortuna, non l’ha mai abbandonata.
Seguire l’esempio di Alice può farci comprendere, attraverso le sue avventure che la metteranno di fronte ai suoi sogni miscelati con i suoi incubi, il significato della parola “libertà”; tanto bramata, ma spesso, per pigrizia, rifiutata.
Alice diviene così la nostra guida lungo un sentiero sconnesso, ma allo stesso tempo capace di indirizzare i nostri passi verso una nuova visione di noi stessi.
Il suo ritorno a casa segna poi una nuova presa di coscienza da parte della protagonista, avrà imparato a seguire quello che realmente vuole senza preoccuparsi troppo del futuro; seguire il suo istinto per riuscire a trovare la sua vera identità, un altro spunto questo che ci porta a riflettere su chi realmente saremo un giorno.

Non poteva certo mancare la firma di uno dei più eccentrici registi, Tim Burton, a dare al film quell’atmosfera per certi versi cupa che tanto ha contraddistinto i suoi lavori; il regista riesce, infatti, ad infondere un’aria di sublime fantasia che già di per sé fa parte dell’opera stessa di Lewis Carroll. A mio avviso ottima anche l’idea del regista di far interpretare il ruolo di Alice ad un’attrice che in pratica era al suo primo film come protagonista (una delicata Mia Wasikowska che sicuramente d’ora in avanti farà parlare di sé), forse con l’intento di infondere in Alice stessa un’inesperienza che tanto le si addice. E poi non dimentichiamo Danny Elfman, autore delle musiche del film, che ormai è diventato un punto fermo nei progetti di Burton, riesce con sapiente maestria, a miscelare con la dolcezza delle sue note la fantasia e la stravaganza che il film sprigiona.

Alice in Wonderland ci fa rispolverare i ricordi della nostra infanzia che per anni ci hanno accompagnato e che a volte dimentichiamo; ma i ricordi ritornano, ed allora ci accorgiamo che altro non sono che la realtà di cui siamo noi i soli protagonisti.

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