martedì 27 aprile 2010

"IL PIANETA DEL FUTURO"

















Fred Pearce, giornalista scientifico britannico che si occupa di ambiente, consulente del “New Scientist”, collaboratore tra le altre, del “The Guardian”, “The Independent” e del “Daily Telegraph”, nel suo ultimo libro, “Il pianeta del futuro” (Mondadori) affronta tematiche legate alla stato di salute della popolazione mondiale e del mondo che abitiamo. Oggi il nostro pianeta ospita sei miliardi e 300 milioni di persone e si prevede che entro il 2050 la popolazione raggiungerà il picco massimo e poi si assesterà su circa nove miliardi di abitanti.

Le preoccupazioni circa una stabilizzazione demografica sono all’ordine del giorno, in tanti puntano il dito contro i Paesi più poveri e sovraffollati, in tanti auspicano e già attuano un controllo delle nascite. Stiamo assistendo in alcune aree a “revival malthusiani”, ad esempio, in India e Cina, e fino a pochi anni fa in Corea del Sud, viene attuata la selezione dei feti in base al sesso. In India, l’aborto dei feti femmine è ritenuto illegale, ma regolarmente praticato. In Cina, invece, è legale, probabilmente perché i governanti si troverebbero dinanzi ad una più brutale alternativa: uccidere le femmine appena nate. In questo modo, in quelle aree, si è avuto un sovrannumero di individui maschi, 10 milioni in più rispetto alle femmine, con evidenti conseguenze sociali.

Secondo Pearce, il problema della sovrappopolazione è un fattore secondario rispetto a quello che è invece la principale piaga dell’intero pianeta: il sovra-consumo. Lo stile di vita e il sistema economico-produttivo dei Paesi ricchi ha portato ad un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali disponibili, infatti, la nostra impronta ecologica è devastante: ogni anno consumiamo il 30% in più di quanto la natura possa rigenerare. Va da sé che questo sistema è prossimo al collasso: fonti fossili come petrolio, carbone, gas, uranio, oltre ad essere fortemente inquinanti, sono prossime all’esaurimento. Occorrerebbe modificare tutto il sistema economico e adattarlo a fonti energetiche rinnovabili. Se la scienza e la tecnologia hanno fatto passi da giganti su questa via, manca ad oggi la volontà politica e una seria pianificazione del cambiamento necessario. Ignorare il limite che la natura ci impone è sciocco, oltre che pericoloso. Stiamo consegnando nelle mani delle generazioni future un pianeta più impoverito e pieno di problemi.

Un capitolo è dedicato anche alla forte migrazione per via dei problemi derivati dai cambiamenti climatici in varie parti del mondo. L’autore pone degli interrogativi: “perché le popolazioni dei Paesi poveri continuano a rimanere povere, nonostante le promesse di benessere che da almeno un secolo vengono loro rivolte?” la risposta è abbastanza evidente, infatti, si tratta di terre colonizzate dai Paesi ricchi per l’enorme quantità di risorse disponibili. Tali risorse beneficiano unicamente la sovrapproduzione dei Paesi ricchi, che lasciano poi sul territorio depredato (oltre alle guerre e ai danni socio-politici e culturali) danni incontrovertibili come il debito ecologico, ovvero, disastri ambientali, la costrizione di produrre alimenti non per se stessi ma per l’esportazione, come il the o il caffè o mangimi per il bestiame dei Paesi ricchi.

Sul problema dell’immigrazione, un paragrafo è dedicato proprio alla dilagante caccia allo straniero presente in Italia: “la xenofobia è particolarmente acuta in Italia, dove gli immigrati sono essenziali per una serie di settori industriali, compresa la raccolta di prodotti agricoli. Nel 2008, il sindaco di Roma ha promesso di espellere 20.000 immigrati che, a suo dire, avevano commesso reati. A nord di Napoli un’estate di crescenti tensioni tra la gente del posto e la popolazione rom e gli immigrati africani, è sfociata nell’uccisione di 7 africani, nel corso di due attacchi successivi ai loro accampamenti portati presumibilmente dalla camorra. Un sondaggio ha rilevato poi che i 2/3 degli italiani erano d’accordo sull’espellere tutti i 150.000 mila rom presenti sul territorio nazionale, anche se in maggioranza cittadini italiani. La promessa del primo ministro Silvio Berlusconi di difendere il diritto degli italiani a non avere paura, ha praticamente dato carta bianca alle squadre di vigilantes che li hanno attaccati. Il premier non ha fatto menzione al diritto dei rom a non avere paura.” Ecco qui che non si possono distinguere i diritti. Non si può pensare che la nostra società sia minacciata dalla presenza di migranti che sfuggono dalle situazioni drammatiche che noi stessi abbiamo contribuito a produrre nei loro Paesi, attraverso un sovra-sfruttamento delle loro risorse.

Dal canto nostro, è giunto il momento di smetterla di fingere che il problema del pianeta non siamo noi Paesi ricchi e il nostro stile di vita consumistico. Se vogliamo far figli e assicurare loro una vita qualitativamente buona in un mondo non del tutto malato, occorrerà seriamente modificare le cattive abitudini quotidiane ed effettuare scelte più consapevoli ed eco-sostenibili. Con la speranza che un giorno la politica internazionale possa svegliarsi e mettere in agenda le risoluzioni delle questioni economiche, non affatto separabili da quelle ambientali e demografiche.

Lina Rignanese

domenica 25 aprile 2010

Edward mani di forbice

di Emiliano Sportelli


















Succede a volte di incontrare qualcuno che, pur senza conoscere, riesce ad infonderci qualcosa di profondo e toccante. Qualcuno che fa fatica ad esprimersi con le parole, ma che riesce lo stesso a comunicare attraverso le fantasie che circondano la sua anima. Scatta in noi così un desiderio di capire a fondo costui che, con tanta grazie e dolcezza, è riuscito a sfiorare la mente di chi si dichiara “il più scettico tra le persone”.
Rimaniamo esterrefatti da queste situazioni che, magari senza volerlo, ci riempiono di emozione e sentimento.

Cercare di scovare il sentimento più profondo in un animo pieno di inventiva è la chiave per riuscire a “leggere” Edward mani di forbice, fiaba gotica diretta nel 1990 da quel genio di Tim Burton che con questo film è riuscito a far sognare sia grandi che bambini. L’idea del film nasce da alcuni disegni che lo stesso Burton aveva creato immaginando un uomo con delle forbici al posto delle mani, la scelta poi di far interpretare Edward ad un Johnny Deep, mai più così a suo agio nella parte di questo sfortunato anti-eroe, è stata un’arma in più a disposizione del film.

Questa pellicola offre, a mio avviso, parecchi spunti interessanti. Il primo è senza dubbio la solitudine. Edward rimane da solo nel suo castello una volta perso il suo padre/inventore, e lo stesso accade in realtà, anche quando si trasferisce a casa di Peg. La sua amicizia con il mondo esterno risulterà essere soltanto una lama a doppio taglio per il protagonista che, abbagliato inizialmente dall’accoglienza rivoltagli dagli abitanti della cittadina, resterà alla fine nuovamente in solitudine pensando alla sua amata Kim (Winona Ryder), la sola che sarà riuscita a toccare davvero il cuore dello sfortunato protagonista.
Altro punto che il regista ha voluto sottolineare è la dicotomia dei colori: guardando il film, infatti, possiamo notare il contrasto che si crea tra: il “nero” castello decadente di Edward, con le case del paese tutte colorate e ben tenute; lo stesso Edward risulterà essere in tutto il film l’unico personaggio vestito di nero in contrasto con il resto degli abitanti.
Importante è poi capire il “senso” di Edward in quanto “diverso”. Burton in questo caso ci presenta un nuovo modo di esprimere la diversità attraverso la creatività. Edward infatti mostrerà la sua vena creativa (stravaganti acconciature o vere e proprie opere d’arte “scolpite” nella siepe) proprio grazie alla sua diversità rappresentata dalle forbici stesse.
Altro passaggio importante del film è sicuramente la neve; il regista vuole far intendere l’origine di questo straordinario fenomeno legato alla malinconia e alla solitudine di un personaggio che è riuscito ad infondere un nuovo significato alla parola tristezza.

Un film quindi tutto da scoprire ed amare, una poesia trasportata su pellicola che riesce a toccare la parte più profonda del nostro essere e che ci lascia immedesimare in Edward stesso cercando così di comprendere meglio il mondo del “diverso”.

venerdì 23 aprile 2010

IL GORGO

"Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io capii, che avevo nove anni ed ero l'ultimo. In quel tempo stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a far la guerra d'Abissinia. Quando nostra sorella penultima si ammala. Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non ce ne capiva niente: chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non le conosceva il male; venne quello di Feisoglio e tutt'e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza. Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando ci chinavamo su di lei per cercar di capire a che punto era. Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava, solo più grossa un dito e lamentandosi sempre come un'agnella. Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio, dal quale non ricevevamo più posta. Tutte le mattine correvo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c'era sulla prima pagina del giornale, e tornavo a casa a raccontare che erano in corso coi mori le più grandi battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani. Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria: - Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m'hanno preso la pioggia. Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell'acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli. Eppure non diedi l'allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me. Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scender dall'aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava a solo camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentì, mi riconobbe dal peso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli ubbidii. Allora, venti passi più sotto, mi ripetè di tornarmene su, ma stavolta con la voce che metteva coi miei fratelli più grandi, quando si azzardavano a contraddirlo in qualcosa. Mi spaventò, ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentì al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sbattè tre passi su. Mi rialzai e di nuovo dietro. Ma adesso ero più sicuro che ce l'avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lì intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: - Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa, - ma non vedevo una testa d'uomo, in tutta la conca. Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l'acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e soprattutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo. Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lì, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle d'un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell'attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina. E le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l'ebbe voltate tutte, tirò un sospiro tale che si allungò d'un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da una festa con una sbronza fina. Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio per non perdermi d'un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo."

Beppe Fenoglio

mercoledì 21 aprile 2010

Il regno corrotto dell’imperatore Silvio












- di Alexander Stille, The New York Review of Books, da ItaliaDallEstero.info -

Nel corso dell’ultimo anno, la vita politica italiana ha finito per assomigliare ad uno strano incrocio tra una telenovela messicana e una descrizione svetoniana degli eccessi imperiali dei Cesari. Inizialmente ci sono state le rivelazioni sul particolare rapporto tra il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e Noemi Letizia, una ragazza adolescente di Napoli che lo chiamava “Papi”, suscitando speculazioni sul fatto che fosse una figlia illegittima oppure un’amante minorenne. “Vorrei che fosse sua figlia!” Ha commentato Veronica Lario, moglie di Berlusconi; quest’ultima ha chiesto pubblicamente il divorzio, dichiarando di non poter più restare con un uomo che “frequentava minorenni” e “non stava bene”.

Sono seguite le fotografie dei festini con ragazze in topless e politici senza mutande presso la villa del piacere di Berlusconi in Sardegna, che richiamavano immagini di Tiberio a Capri. Infine, c’è stato il caso delle escort che partecipavano alle feste di Berlusconi al palazzo presidenziale di Roma; molte di loro erano pagate da un uomo d’affari del sud Italia interessato ad ottenere appalti dal governo per la sua azienda di forniture ospedaliere.

Il comportamento bizzarro di Berlusconi ha continuato a riversarsi sui rapporti internazionali, causando una serie di episodi imbarazzanti. Apparentemente geloso del potere della fama di Barack Obama, ha definito il neoeletto presidente americano “alto, bello e abbronzato” e in seguito, spiegando perché non sarebbe stato presente all’insediamento di Obama, ha dichiarato di essere una stella, “non una comparsa”. Dopo aver incontrato Michelle Obama, ha notato che anche lei era abbronzata.

Allo stesso tempo, come un altro spettacolo di questo circo, c’erano i continui problemi legali di Berlusconi, una saga in atto da sedici anni che ha lasciato una lunga scia di prove di corruzione, mazzette e rapporti con la criminalità organizzata. Lo scorso ottobre, la più alta corte italiana ha respinto una legge, proposta dallo stesso Berlusconi, che gli avrebbe garantito l’immunità giudiziaria durante la sua carica. Ciò ha significato che si è ritrovato ancora una volta imputato in un processo in cui il suo ex avvocato inglese, David Mills, era già stato condannato per aver preso una bustarella di 600.000 dollari dall’azienda di Berlusconi per evitare che fosse fatto il nome di quest’ultimo in un’altra serie di indagini di corruzione.

I critici di Berlusconi hanno chiesto le sue dimissioni e, grazie ad Internet, hanno organizzato una protesta di massa a Roma il 5 dicembre chiamata “No Berlusconi Day” che, nonostante l’evidente assenza dei maggiori partiti d’opposizione, ha richiamato circa 350.000 italiani. Berlusconi ha proclamato, esagerando come al solito, che l’Italia era sull’orlo di una guerra civile. E proprio quando tutti pensavano che la situazione non potesse peggiorare, il 13 dicembre un uomo con dei precedenti di instabilità mentale l’ha colpito in viso con una riproduzione in pietra del duomo di Milano durante un comizio politico in città, spaccandogli il naso e due denti.

Nel giro di poche ore, i suoi alleati politici – Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, leader della coalizione di Berlusconi al Senato e in Parlamento – hanno organizzato una feroce offensiva, insistendo sul fatto che mentre l’assalitore del Presidente del Consiglio potesse essere uno psicolabile che agiva da solo, i responsabili “morali” dell’attacco erano i quotidiani, le riviste e i giornalisti che avevano creato un “clima di odio” intorno a Berlusconi. Il “partito dell’odio” avrebbe incluso quei giornalisti che hanno pubblicato notizie maliziose sulla sua vita privata, che hanno criticato i suoi molteplici conflitti d’interesse, che hanno scritto del caso Mills, e hanno segnalato i legami sospetti di Berlusconi con la criminalità organizzata. Tra i colpevoli vi erano anche i 350.000 manifestanti che avevano partecipato al “No Berlusconi Day” e i social network presenti su Internet, che i sostenitori di Berlusconi in Parlamento avevano cercato di regolamentare, senza successo.

Approfittando di un aumento nei consensi, Berlusconi è tornato a lavorare su una nuova legge che avrebbe eliminerebbe immediatamente i due processi in atto contro di lui – il caso Mills e un altro in cui la sua emittente televisiva, Mediaset, viene accusata di avere usato conti offshore per gonfiare i prezzi pagati per i diritti d’autore dei film, truffando così l’erario italiano per milioni di dollari che altrimenti avrebbe dovuto. Per evitare il sospetto che la legge concedesse uno status speciale a Berlusconi, è stata scritta in modo da assolvere molti altri criminali dal colletto bianco e potrebbe cancellare dagli 80.000 ai 100.000 processi. Secondo alcuni conteggi, Berlusconi ha approvato 18 leggi che sembrano essere state scritte ad personam, ma questa volta, né Berlusconi né i suoi alleati fanno alcuna pretesa che ci sia un ampio principio pubblico coinvolto. E’ il governo per e di una persona.

Un politico nella maggior parte degli altri Paesi democratici sarebbe stato annientato da uno qualsiasi di questi scandali, figuriamoci tutti quelli che si sono verificati in sequenza incessante nel giro di pochi mesi, eppure il potere di Berlusconi non è mai stato messo seriamente in discussione. Che cosa possiamo dedurre da questa strana situazione?

Il costante successo di Berlusconi – almeno, se misurato dai numeri delle elezioni – ha bisogno di spiegazioni. Si tratta semplicemente di una bizzarra anomalia italiana in cui uomini macho sessisti, uomini d’affari di successo e truffatori vengono ammirati invece che diffamati? Gli scandali di Berlusconi sono soltanto inezie e pettegolezzi da rotocalchi, una specie di opera buffa in cui i suoi sostenitori continuano a preferire lui ad un centro-sinistra debole, diviso ed incapace? E’ possibile che la telenovela di Berlusconi contribuisca in realtà al suo fascino, una fusione di politica ed intrattenimento prefigurata da quei programmi televisivi ridicoli, osceni e molto diffusi che sono stati la sua fortuna? E se gli indici d’ascolto e l’audience avessero sostituito i risultati concreti nel misurare il successo politico?

Berlusconi ha trasformato la vita politica di una nazione importante in una sorta di reality show di cui è la star, il produttore e il proprietario della rete: è il “survivor” supremo, che mentirà e ingannerà per eliminare gli altri dall’isola, ed è allo stesso tempo “il tronista” che distribuisce rose a un gruppo di donne giovani e belle. Considerate che i sondaggi di Berlusconi sono costantemente più favorevoli di quelli di Barack Obama. Come ha segnalato recentemente The Daily Beast, gli indici d’ascolto e i sondaggi di Obama sono scesi costantemente dopo che la sua legge sul servizio sanitario è stata indebolita e la disoccupazione è rimasta alta: “Il fatto è che aveva 49,5 milioni di ascoltatori durante il suo primo discorso sull’economia. Quando ha parlato del Medicare, ne aveva 24 milioni. Ha perso il proprio pubblico (…) E’ crollato nei sondaggi”. Berlusconi, che ha affrontato scandali pubblici simili a quelli di Tiger Woods e John Edwards, ha mantenuto il suo pubblico.

Berlusconi ha compreso che la politica moderna è una perenne campagna elettorale. Ai vecchi tempi, un presidente americano effettuava la campagna per sei mesi e governava per tre anni e mezzo. Obama ha seguito questo modello antiquato in maniera un po’ arretrata, lavorando ampiamente dietro le quinte per promuovere la riforma sanitaria ed altre legislazioni, mentre i repubblicani hanno tenuto il palcoscenico, affermando che il piano democratico imponesse “death panels” e la medicina sociale. Berlusconi non avrebbe mai lasciato che questo accadesse.

Diversi nuovi libri – insieme al film documentario Videocracy – sono usciti in Italia e descrivono gli scandali di Berlusconi dell’anno scorso (sia sessuali sia legali); inoltre, offrono qualche interpretazione sulla permanenza di Berlusconi al potere. Ciò che emerge è il fatto che gli scandali a sfondo sessuale sono, in un certo senso, una successione naturale dell’estrema “personalizzazione” del potere da lui incarnata. Berlusconi è salito al potere subito dopo la caduta del muro di Berlino ed il collasso delle ideologie che hanno dominato la politica italiana per buona parte del XX secolo. In Italia, i partiti politici rappresentavano le classi e i maggiori gruppi sociali. Se uno era un operaio, votava PCI; chi faceva il contadino oppure il piccolo commerciante, probabilmente votava DC. I leader politici – e le loro qualità personali – non erano particolarmente importanti.

Durante la guerra fredda, la DC insieme ad altri quattro partiti satellite hanno governato indisturbati per 45 anni allo scopo di tenere i comunisti lontani dal potere. Quando la guerra fredda è finita, la corruzione e l’inefficienza di un governo monopartitico è diventata improvvisamente intollerabile e la coalizione di governo guidata dalla DC è scomparsa da un giorno all’altro, lasciando la maggior parte dell’elettorato senza rappresentanza. Berlusconi ha riempito questo vuoto con straordinaria abilità, comprendendo che il suo impero mediatico – incluse le tre maggiori emittenti televisive private – era la più forte istituzione rimasta in piedi, e che la sua popolarità personale e il riconoscimento del suo nome si sarebbero potuti trasformare in una risorsa politica in un’era in cui la celebrità conta più dell’ideologia. Al posto della formazione sociale ed economica, le preferenze televisive – quali canali vengono guardati e per quanto tempo – sono ora l’indicatore migliore sulle preferenze politiche di un elettore.

Berlusconi ha personalizzato la politica in modo nuovo per l’Italia. Perfino nelle contese locali in cui non è candidato, il suo volto compare sulla maggior parte dei manifesti elettorali. Ha rotto i confini tradizionali tra privato e pubblico portando in Parlamento persone del proprio entourage personale – vallette televisive, i suoi avvocati, il suo medico, ragionieri e dirigenti delle sue aziende, e frotte di giornalisti e personaggi televisivi: tutti devono quasi tutto a lui. Ha contribuito a cambiare la legge elettorale affinchè gli elettori non potessero scegliere tra i candidati proposti dai partiti. Non si parla nemmeno di primarie o di elezioni all’interno dei partiti. E’ il segretario di partito a decidere chi candidare e dove. In questo modo tutti sono al servizio del capo e i politici individuali non possono rivendicare diritti speciali per attirare voti da soli. Sotto Berlusconi, i politici che hanno una base importante di sostegno nella loro regione d’origine sono stati rimpiazzati da personalità con un fascino piuttosto diverso: personaggi famosi della televisione in grado di far salire il profilo del partito, amici e colleghi del segretario di partito – e, sempre più spesso, belle ragazze dalla ridotta formazione politica.

Il film Videocracy – un documentario realizzato dal regista italo-svedese Erik Gandini – mostra come l’introduzione del sesso nella televisione italiana sia stato fondamentale per l’ascesa al potere di Berlusconi sin dall’inizio. La cultura italiana del secondo dopoguerra era piuttosto castigata – dominata dalla Chiesa Cattolica e dall’austero Partito Comunista Italiano. La TV commerciale di Berlusconi, nata negli anni ‘70, ha riempito gli schermi televisivi e le menti di quasi 60 milioni di italiani con una sfilata di giovani donne vestite succintamente o seminude, le cosiddette veline, o showgirl, che comparivano, in silenzio ma sexy, a entrambi i lati del presentatore televisivo. Il film descrive in maniera piuttosto efficace come soltanto comparire in televisione – ed essere trattati persino come un oggetto muto o un giocattolo sessuale – sia diventata l’aspirazione massima per due generazioni di italiani.

Uno dei momenti più significativi nella storia di Noemi Letizia, l’adolescente napoletana il cui ambiguo rapporto con Berlusconi – come viene descitto in Papi: Uno Scandalo Politico dei giornalisti Peter Gomez, Marco Lillo e Marco Travaglio – ha scatenato lo scandalo iniziale, è giunto quando lei ha dichiarato ad un intervistatore: “Ora sogno di fare la show girl” e ancora: “Ma sono anche interessata alla politica. Sono pronta a cogliere qualsiasi opportunità a 360 gradi”. Quando le è stato chiesto se si sarebbe presentata alle elezioni regionali, ha risposto: “Preferisco candidarmi alla Camera. Papi Silvio ci penserà”. Nel mondo di Noemi Letizia – e di Berlusconi – essere una showgirl e un parlamentare sono semplicemente due modi diversi per farsi strada e diventare famosi.

Alle elezioni politiche del 2008, Berlusconi ha effettivamente portato diverse ex-showgirl in Parlamento. Due di loro sono diventate ministri del governo, una delle pari opportunità, l’altra del turismo. Entrambe erano apparse come vallette nei programmi d’intrattenimento di Berlusconi. Si dice che una serie di conversazioni intercettate durante un’indagine rivelino che Berlusconi abbia avuto dei rapporti sessuali con alcune di queste donne, ma gli inquirenti hanno distrutto molte delle conversazioni di natura “puramente personale” perché non avevano rilevanza nell’inchiesta. Le intercettazioni rese pubbliche mostrano come Berlusconi usi il sistema televisivo pubblico come una specie di “casting couch”, ottenendo audizioni per le mie fanciulle per “sollevare il morale del capo”. In un’altra occasione, si è dato parecchio da fare per trovare un ruolo da attrice alla ragazza di un senatore del centrosinistra, sperando di riuscire a convincerlo a cambiare partito per rovesciare il governo di Romano Prodi, che era al potere all’epoca.

L’incidente che ha fatto infuriare inizialmente la moglie di Berlusconi, Veronica Lario, è avvenuto nel 2009, quando ha scelto con cura due dozzine di showgirl, molte di loro giovani donne poco più che ventenni, per essere preparate per diventare candidate al Parlamento Europeo. Poche tra di loro avevano esperienze politiche alle spalle. Una di loro aveva fatto la meteorina su una delle reti televisive di Berlusconi. Molte di loro avevano partecipato alle sue feste private. Ha allestito una scuola con lo scopo di dare loro una prima infarinatura sulla politica europea cosicché non sarebbero state in imbarazzo durante la campagna elettorale. La Lario ha denunciato queste donne come "ciarpame senza pudore (…) figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e il denaro".

Quasi immediatamente, il quotidiano di destra Libero ha pubblicato una foto della Lario in topless presa dal suo passato di attrice, ricordando al pubblico che anche lei era stata una velina a suo tempo. Libero ha anche pubblicato un’informativa anonima e quasi sicuramente falsa in cui si affermava che la Lario avesse una relazione con la guardia del corpo, sostenendo che fosse questo – e non il comportamento del marito – ad aver provocato la spaccatura all’interno della famiglia del Premier. Questo tipo di giornalismo spazzatura a quanto pare non è spiaciuto a Berlusconi. Ha ingaggiato l’editore di Libero, Vittorio Feltri, come editore del quotidiano di proprietà di Berlusconi Il Giornale, in modo che possa condurre nuove campagne di assassinio mediatico contro altri nemici del capo.

La scena descritta dalla accompagnatrice a pagamento Patrizia D’Addario nel suo libro – una ventina di giovani donne vestite pressoché allo stesso modo, tutte in competizione per l’attenzione di Berlusconi, accarezzandolo e coccolandolo mentre lui le accarezza – è per molti versi la realizzazione della stessa fantasia maschile che Berlusconi diffonde da più di trent’anni dalle sue emittenti televisive. “Vuole essere adorato da tutte le donne che sono qui, gli piace essere toccato, accarezzato, da più mani contemporaneamente,” ha scritto nel suo libro “Gradisca, Presidente”.

"Io guardo incuriosita e il mio primo pensiero è che mi trovo in un harem. Lui è il sul divano e noi tutte, siamo venti ragazze, le donne a sua disposizione. Le più giovano facevano a gara a chi gli stava più vicina. Facendo l’escort pensavo di avere visto un bel po’ di cose, ma questa mi mancava, venti donne per un unico uomo. Le orge normalmente prevedono più o meno lo stesso numero di donne e di uomini, altrimenti è difficile distribuire piacere. Qui gli altri uomini non hanno voce in capitolo. C’era un unico maschio con diritto di copula, il Premier".

Per molti versi, forse il momento più significativo nel libro della D’Addario è la chiacchierata avvenuta a colazione la mattina dopo aver trascorso la notte nella residenza del Premier, registrata su un registratore digitale. Berlusconi si vanta di tutti gli incontri internazionali da lui presieduti, un vertice del G8, un vertice del G14, uno del G16: “Sono l’unico al mondo ad aver presieduto due G8 e adesso ne presiederò un terzo. Sono IN-SU-PER-ABILE“.

La D’Addario non capiva molto di quello che stava dicendo. Malgrado la sua palese indifferenza nei confronti della politica, era stata scelta come candidata per il consiglio comunale di Roma all’interno della coalizione guidata da Berlusconi, anche se ha ricevuto pochissimi voti. Decise di non fare la campagna politica – e di rendere pubblica la sua storia – dopo che Berlusconi non ha mantenuto una promessa apparentemente fattale. Non ha mantenuto, scrive la D’Addario, la promessa di aiutarla a finire un progetto edilizio per la costruzione di un piccolo albergo.

Questo scandalo non ha abbattuto Berlusconi, in parte grazie al suo notevole controllo della televisione italiana e della stampa. Il direttore di RAI1 ha annunciato che non avrebbe trasmesso nulla riguardante gli scandali a sfondo sessuale di Berlusconi poiché si trattava di pettegolezzi e non di notizie – una linea che non ha mantenuto quando gli scandali coinvolsero politici di centro-sinistra. In effetti, le emittenti televisive e i quotidiani controllati da Berlusconi sono stati in grado di procurarsi dei contro-scandali nei confronti dei suoi critici. Poco dopo essere stato nominato capo de Il Giornale di Berlusconi e di essersi incontrato personalmente con lui, che in teoria non dovrebbe avere alcun contatto con il quotidiano, Vittorio Feltri ha dispettosamente pubblicato una storia sulla vita sessuale dell’editore del quotidiano cattolico L’Avvenire, Dino Boffo, che aveva osato criticare la condotta privata di Berlusconi.

Feltri ha pubblicato ciò che definisce un dossier in cui rivela che Boffo era stato accusato di molestie nei confronti di una donna che aveva un rapporto con un uomo di cui Boffo s’era innamorato. Boffo è stato costretto a dare le dimissioni anche se la domanda è rimasta: come ha fatto il quotidiano di Berlusconi a ottenere informazioni su quella che avrebbe dovuto essere un’inchiesta riservata della polizia? In modo analogo, Berlusconi ha ricevuto un altro regalo quando la polizia ha fatto e ha diffuso un video di un politico di centro-sinistra, Piero Marrazzo, mentre frequentava una prostituta transessuale brasiliana e sniffava cocaina. Per quanto si trattasse di una storia vera, era anche chiaro che la polizia, agendo dopo aver ricevuto una soffiata, ha teso una trappola a Marrazzo con la speranza di ricattarlo. Hanno anche fatto girare il video presso alcune riviste scandalistiche di Milano, prima tra tutte Chi di proprietà di Berlusconi; l’editore della rivista ne ha informato i proprietari del giornale e di conseguenza Berlusconi è venuto a conoscenza del video.

Lo scandalo è scoppiato, opportunamente, quando poteva creare tra il pubblico la maggior distrazione possibile dai guai di Berlusconi. Le frequentazioni di prostitute da parte di Berlusconi apparivano come un buon vecchio divertimento, paragonate ai rapporti con transessuali del politico dell’opposizione. Ci sono voci secondo cui le stesse riviste scandalistiche avrebbero del materiale compromettente su molti politici, che viene utilizzato per tenerli buoni. Esercitando il controllo sulla polizia, sui servizi segreti, sulla stampa scandalistica e sui principali sei canali TV, Berlusconi è in grado di fare e disfare scandali a piacimento.

Mentre la maggior parte dell’attenzione pubblica si concentrava, naturalmente, sugli stuzzicanti dettagli della vita sessuale di Berlusconi, per certi versi gli aspetti più gravi dello scandalo non ricevevano quasi attenzione. Giampaolo Tarantini, l’uomo che aveva pagato la D’Addario e molte altre donne perché partecipassero alle feste di Berlusconi, era a capo di una azienda di forniture ospedaliere in Puglia che cercava chiaramente di ingraziarsi il Presidente del Consiglio allo scopo di assicurarsi appalti governativi. Tarantini ha affittato una villa enorme pagando circa 70.000 euro al mese proprio accanto al palazzo del piacere di Berlusconi in Sardegna e ha organizzato una serie di feste piene di belle ragazze che fungevano da trappola per le mosche attirando Berlusconi ed altri pezzi grossi di cui aveva bisogno.

In Puglia e in Sardegna, gli inquirenti hanno ricostruito una squallida rete di clientelismo politico, prostituzione e cocaina, ma hanno fatto poco per quanto riguarda l’avvio del procedimento giudiziario. Paolo Guzzanti, un critico ex-sostenitore ed ex-impiegato di Berlusconi, scrive che l’Italia, piuttosto che essere una videocrazia, è diventata una “mignottocrazia” – in cui centinaia di migliaia di persone, uomini e donne, fanno dei servizi per i potenti, alcuni in cambio di denaro, altri in cambio di posti di lavoro, contratti e privilegi.

L’idea di una mignottocrazia ha guadagnato una notevole credibilità nelle ultime settimane con il delinearsi di un nuovo grande scandalo. Gli inquirenti di Firenze hanno arrestato e incriminato dozzine di appaltatori e ufficiali governativi che lavoravano presso il Dipartimento per la Protezione Civile del governo Berlusconi, l’equivalente italiano dell’americana Federal Emergency Management Agency. Berlusconi ha indicato questa agenzia come l’esempio più brillante della propria politica di un governo “del fare” invece di uno di sole chiacchiere. A Guido Bertolaso, capo del dipartimento, è stato attribuito il “miracolo” di aver tolto la spazzatura dalle strade di Napoli, di avere affrontato il terremoto in Abruzzo della scorsa estate e di aver gestito altri progetti nel settore dei lavori pubblici.

In effetti, se le accuse sono corrette, il dipartimento di Bertolaso è una brutta matassa di clientele, sprechi, corruzione e anche prostituzione. Si presume che uno degli appaltatori favoriti abbia organizzato una festa privata per Bertolaso con la partecipazione di prostitute. Bertolaso insiste affermando di avere ricevuto soltanto “massaggi terapeutici”, ma deve ancora spiegare perché sono stati distribuiti dei preservativi durante la festa. Si è scoperto che le spese di Giampiero Tarantini – colui che aveva pagato Patrizia D’Addario e le altre accompagnatrici a pagamento destinate a Berlusconi – non sono state inutili: sembra che lui e i suoi soci abbiano beneficiato illegalmente dell’agenzia per il lavori pubblici gestita da Bertolaso grazie alla presentazione fatta da Berlusconi.

Un anno dopo il terremoto, la città de L’Aquila, capoluogo dell’Abruzzo ed epicentro del disastro, appare come una città fantasma in cui i lavori per la ricostruzione non sono ancora iniziati. Il centro città è stato transennato come un cantiere e le videocamere della televisione sono state tenute fuori finché un gruppo di cittadini arrabbiati ha sfondato un cordone della polizia cercando di capire che fine avessero fatto le loro case. Sono rimasti esterrefatti vedendo che tutto era rimasto esattamente come l’avevano lasciato il giorno della scossa. Nel frattempo, la televisione pubblica controllata da Berlusconi mandava in onda un servizio sul “miracolo” degli sforzi per la ricostruzione dell’Abruzzo.

L’ultima serie di scandali aiutano a chiarire perché l’Italia berlusconiana sia sprofondata nella mediocrità. L’Italia è ultima in assoluto per quanto riguarda la crescita del Prodotto Interno Lordo pro capite tra tutti e 30 i Paesi appartenenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), un indicatore chiave della produttività e della ricchezza. In media, le nazioni OCSE hanno avuto un tasso di crescita annuale del 2,6% tra il 1994 (il primo anno che ha visto Berlusconi al potere) e il 2007, mentre l’Italia ha avuto una crescita annuale inferiore al 1,5%. Secondo Tito Boeri, se gli italiani non sono in rivolta è dovuto in parte al fatto che la recessione non ha scatenato una serie di fallimenti bancari, pignoramenti immobiliari e neppure una crisi del debito su scala nazionale come invece è avvenuto in Grecia. Tito Boeri è professore presso la Bocconi di Milano, la principale università nel campo dell’economia e gli affari, nonché editore de La Voce, un importante sito web che tratta di notizie e analisi economiche. “Ma se guardate al PIL e il reddito pro capite”, ha dichiarato:

"l’Italia sta peggio degli altri paesi industrializzati, peggio della Germania, degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e molto peggio della Francia, che ha un’economia simile. Stava male prima, da quando è cominciato il suo declino storico, e sta ancora peggio da quando è cominciata la recessione. Gli effetti della recessione sono stati più sopportabili perché i licenziamenti hanno colpito soprattutto i lavoratori giovani, molti dei quali vivono ancora coi genitori; la famiglia italiana ha ridotto l’impatto della flessione economica".

L’Italia ha fatto poco o nulla per preparasi al futuro. La Spagna ha incrementato la popolazione universitaria di 7 volte da quando è tornata la democrazia nella metà degli anni ‘70 e ora quasi il 29% della sua popolazione adulta possiede un titolo universitario, mentre l’Italia si trascina in coda con solo il 12,9%. La norma nella OCSE è del 26%. L’Italia investe meno della metà della media OCSE nella ricerca. Invece, una delle caratteristiche principali del programma economico di Berlusconi è stato il cosiddetto scudo fiscale che ha permesso a coloro che avevano nascosto dei patrimoni all’estero di riportarli in Italia pagando soltanto 5 centesimi per ogni dollaro – una pacchia per gli evasori fiscali e riciclatori di denaro sporco. Questo tipo di capitalismo corrotto non tirerà fuori l’Italia dai propri guai economici. Inoltre, l’Italia occupa l’84° posto su 128 nella classifica sulla parità tra i generi stilata dal World Economic Forum del 2007, ben più in basso di Paesi come Uganda, Bolivia e Kenya. Il sessismo dei media di proprietà di Berlusconi e della sua condotta privata permea la società nel suo insieme. Si tratta di un problema non solo morale, ma anche economico poiché la partecipazione femminile nella forza lavoro è un fattore importante nella crescita economica.

Berlusconi ha avuto un grande successo anche nel mantenere l’informazione sulla recessione fuori dai notiziari. Attacca i mezzi di comunicazione “disfattisti” che hanno fornito informazioni, accusandoli di aver favorito la crisi diffondendo allarmismi tra i consumatori italiani. La presa di Berlusconi sulla stampa e la televisione non ha precedenti in una grande democrazia. Una buona parte della sua carriera è stato dedicata al concetto che contano solo le apparenze e non la realtà. “Non ti rendi conto che se qualcosa – un’idea, un politico oppure un prodotto – non si vede in TV, non esiste?” Così ha spiegato Berlusconi a uno dei suoi più stretti collaboratori. Restando sempre popolare nonostante la propria incompetenza, la corruzione e il declino nazionale, ha dimostrato che c’è molto di vero in questa opinione.

Il lungo mandato di Berlusconi in Italia è anche, naturalmente, un testamento dello stato precario dell’opposizione nel Paese, totalmente divisa e priva di idee. Il Partito Democratico – il maggior partito d’opposizione – ha scelto di non partecipare al “No Berlusconi Day” a dicembre, perdendo l’occasione di rivolgersi a 350.000 potenziali elettori e di sfruttare un movimento di protesta in crescita su Internet. Il nuovo leader del partito, Pier Luigi Bersani, è un politico intelligente ma alquanto tradizionale, con radici nel vecchio PCI. Sembra diffidente nei confronti dei movimenti di protesta resisi indipendenti dalla politica tradizionale. I partiti all’opposizione sono avidi di un paio di minuti in prima serata, inseguendo Berlusconi su un territorio in cui questi vincerà sempre, invece di usare i nuovi media che sfuggono al controllo di Berlusconi e grazie ai quali potrebbero sviluppare nuove forme di comunicazione politica e di organizzazione.

Ma mentre è possibile manipolare gli scandali sessuali oppure respingere dei procedimenti penali ben documentati come se facessero parte di una caccia politica alle streghe, è più difficile convincere gli elettori comuni che stanno bene quando in realtà non è così. Molti italiani fanno fatica ad arrivare a fine mese e, secondo alcuni sondaggi, hanno la sensazione che tutto non sia come sembra. Finora non è emerso alcun oppositore promettente in grado di sfidare Berlusconi; ma mentre l’economia continuerà a stagnare, la realtà lentamente potrebbe tornare alla ribalta. O forse l’Italia continuerà ad essere incantata dal reality show creato da Berlusconi.



http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-regno-corrotto-dell%E2%80%99imperatore-silvio/

sabato 17 aprile 2010

Lenore

di Emiliano Sportelli

Immaginate una bambina intraprendente e spensierata, uno sguardo che a volte vi mette paura ma che cela una profonda simpatia, una bambina che ha tutto da imparare nonostante sappia già come comportarsi. Non pensate alla “solita” bimba che mano nella mano con la sua amichetta vedete entrare a scuola la mattina, non pensate ad una piccola con i boccoli d’oro che passa i pomeriggi a pettinare la sua bambolina preferita, niente di tutto questo; anche perché, ho dimenticato di dirvi che, rispetto a tutte le altre bambine la nostra Lenore è morta.

Lenore è la protagonista del fumetto indipendente più venduto negli Stati Uniti, il suo autore Roman Dirge è riuscito a tirar fuori dal cilindro un personaggio forse prima mai visto; l’idea di consegnare la scena delle sue storie ad una piccoletta è stato forse il punto focale del successo che si è meritato oltre oceano.


Uscito nel nostro Paese nel 2007 per la Elliot Edizioni in due raccolte: “Piccole ossa” e “Piccole ossa crescono”; l’autore con il personaggio Lenore riesce ad amalgamare i futili problemi di una bambina, con la sua passione per il macabro e l’assurdo. Il mondo di Lenore viaggia così inesorabilmente tra pensieri perversi ed infantili, dove l’universo degli adulti non può arrivare forse perché troppo preciso e stereotipato per riuscire a cogliere la dolcezza della fanciullezza in una bambina morta di solo otto anni.

Il suo successo è stato colto anche da importanti nomi del cinema gotico: in prima fila Tim Burton che avendo visto gli schizzi di Dirge lo ha spronato nel portare avanti con decisione la sua idea; lo stesso Clive Barker – regista di Hellraiser – ha scherzosamente affermato “Lenore è più divertente di un carro funebre guidato da pagliacci” e a mio modo di vedere tutta l’anima del fumetto può essere espressa con questa frase.

Roman Dirge ci consegna così un lavoro che fa sorridere, ma che al tempo stesso riesce ad infonderci una piccola vena di tristezza, visto che in tutti noi c’è sempre un’ombra scura che in questo caso appare sottoforma di una bimba morta.

martedì 13 aprile 2010

WILLIAM KLEIN E LE STRADE DI ROMA













Mercati di Traiano
Museo dei Fori Imperiali
Promosso da: Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma, Sovraintendenza ai Beni Culturali in collaborazione con Contrasto
Mostra dal 14 aprile al 25 luglio 2010


A cinquant’anni dall’uscita del libro fotografico “Roma” di William Klein, una mostra ospitata nei Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali, celebra quest’omaggio fotografico e la romanità che lo sguardo, allora incosciente e sognante, dell’artista newyorkese era riuscito a raccontare.
Erano gli anni dal 1956 al 1960, periodo in cui il giovane Klein, già pittore, grafico e fotografo, visse a Roma al seguito di maestri d’eccezione (Fellini, Pasolini, Moravia, Flaiano, ecc). Nel 1956, fu lo stesso Fellini a volere l’artista con sé come aiuto regista nel film “Le notti di Cabiria”. La produzione ebbe dei problemi economici, così le riprese si protrassero a lungo. Fu questa l’occasione che l’autore dello scandaloso diario fotografico “Life is Good & Good for You in New York” sfruttò per riprendere in mano la sua Leica e impossessarsi dell’anima di Roma e dei romani.
Gli scatti, sempre in bianco e nero, sono pervasi della sua concezione della vita come un flusso inarrestabile di immagini, suoni, rumore e danza. Fedele a quella “Street Photography” che aveva, in quegli anni, messo in discussione la sacralità delle classiche pose fotografiche alla Cartier-Bresson, Klein inaugura una nuova stagione d’arte fotografica, fatta per le strade, partendo dal “grado zero” del linguaggio visivo e sperimentando di tutto. Scatta le foto senza puntare. Esagera la grana, il contrasto. Ingrandisce a dismisura. Passa letteralmente il processo fotografico al "tritacarne". Lui stesso afferma: “Molto consapevolmente ho fatto il contrario di quello che si faceva. Pensavo che il fuori campo, il caso, l’utilizzazione dell’incidente, un altro rapporto con l’apparecchio avrebbero permesso di liberare l’immagine fotografica”. Klein parte dal caso quotidiano per organizzare il disordine, secondo quella tecnica che lui chiamò “foto-automatografia della strada”. In questo disordine organizzato c’è posto anche per i suoi scritti, appunti, ritagli di scritture, frammenti di pensieri, citazioni (Leopardi, Pasolini, Belli, Michelet, Stendhal, Goethe), il tutto mescolato insieme in dettagli, descrizioni che accompagnano le foto, giocando con gli scatti stessi. Ad esempio, Mario Soldati: “Scrittore, regista, buongustaio, vivace, spiritoso, ha letto i classici, esibizionista, vorrebbe fare l'attore, somiglia vagamente a Groucho Marx”. Alberto Moravia: “Habitué delle cliniche, osserva clinicamente i suoi personaggi, annoiato, infelice, le mani legate, sinistro, Moravia scruta questa vita ingrata”. Cesare Zavattini: “Scrittore, umorista, furbo, buono, coraggioso, impetuoso, sentimentale, molto impegnato, pieno di energia e di idee buone o cattive, capisce tutto, ha visto tutto”.
Oggi Klein è un allegro vecchietto, dagli occhi vispi, che rivive questa esposizione “come rivedendo un’antica fidanzata. C’è un ritorno di cuore”. E un ritorno di cuore, anzi una sorta di nostalgia del passato, l’avverte anche il visitatore, che si lascia incantare da quegli scatti, in cui vengono immortalati insieme, sorridenti, De Sica, Fellini e Rossellini, sul set de “Il generale Della Rovere”. Ma nelle sue foto c’è molto di più, c’è il costume di quegli anni, c’è la gente popolana, c’è tutto il modo di vivere di allora. È un’arte che potremmo definire “sociale”, perché grazie alle sue opere la fotografia è divenuta ancora di più un mezzo per conoscere le persone. In questo senso, Klein ha influenzato molti fotografi impegnati nel sociale, come Diane Arbus, Eugene Smith, Mario Cattaneo. Onnipresente la Vespa che, come si legge sul pannello “non solo ha rotto i timpani degli italiani, ma anche qualche anello della Chiesa. (…) La Vespa, mezzo di trasporto, ha permesso alla gioventù di farsi smaliziata, alla morale di evolversi, all’amore di esprimersi”. Questi scatti della Roma degli anni “d’oro” del Novecento non stonano affatto con la cornice archeologica del II secolo d.C. E come nella foto “Piazzale Flaminio”, in cui una Vespa e delle macchine sono ferme al semaforo, anche il corso dei secoli si ferma al semaforo. “Il piccolo mondo romano s’immobilizza per l’eternità”.

Lina Rignanese

lunedì 12 aprile 2010

QUANDO IL JAZZ AVEVA SWING














CASA DEL JAZZ – 11 aprile 2010 - Roma
“Quando il jazz aveva swing” di Lino Patruno

È stato presentato domenica 11 aprile, presso la Casa del Jazz di Roma, il libro di Lino Patruno “Quando il jazz aveva swing”, edito da Pantheon. A introdurre il lavoro del chitarrista calabrese lo storico Lucio Villari, che ha contestualizzato gli anni in cui lo “swing” nasceva. Il termine inglese che significa “oscillazione” fece la comparsa, per la prima volta, nel 1907 con il brano “Georgia’ Swing” di “Jelly” Roll Morton. Ma fu agli inizi degli anni ’30, in pieno “New Deal”, che lo swing prese piede e si affermò con successo nei locali americani. Due erano i poli fondamentali della musica swing di quegli anni: Kansas City con il sound nero e blues di Count Basie da un lato, e New York, con la bianca musica sinfonica di “Duke” Ellington.
A differenza dei sottogeneri jazz che lo hanno preceduto, nello swing si assiste ad una maggiore importanza della sezione ritmica, generalmente composta da chitarra, pianoforte, contrabbasso e batteria, la quale ha il compito di creare una base per le improvvisazioni dei solisti; si sviluppano inoltre le big band, costituite anche da 20-25 elementi e, soprattutto, le improvvisazioni si affrancano completamente dalla semplice variazione sul tema divenendo a loro volta temi nel tema. Nel dopoguerra avvenne una trasformazione: i locali da ballo (come lo storico “Cotton Club” di NY) che ospitavano le grandi orchestre dovettero chiudere. Le formazioni jazz si ridussero a terzetti o sestetti. Erano gli anni in cui i locali da ballo preferivano quel genere che iniziava a scalpitare tra i giovani: il rock’n’roll.
Il libro di Patruno è suddiviso in due parti: la prima racconta gli incontri e le curiosità dell’autore con i grandi della storia del jazz, da Joe Villari a Fats Waller, da Ellington a Miles Davis, da Armstrong a Nick La Rocca; la seconda parte è dedicata, invece, all’attività di Patruno di questi ultimi dieci anni.
Un po’ forti e autocelebrative le tesi proposte dall’autore, il quale nell’affermazione “il futuro del jazz è soltanto nella (sua) storia (quando aveva swing, ndr)” dimentica e cancella volutamente tutto ciò che il jazz è diventato dai ’60 in poi: dal be-bop al free, dal cool all’acid, dal latin all’hard bop, dal fusion all’afro beat. Una “damnatio memoriae” troppo ardita, per condividerla.

Lina Rignanese

sabato 10 aprile 2010

STEVE REICH E I SUONI METROPOLITANI


















Apoteosi di chitarre. Ben dodici e due bassi, ad aprire il concerto monografico dedicato al compositore newyorkese Steve Reich, all’interno della rassegna ‘Contemporanea - La Chitarra’, presso l’Auditorium Parco della Musica. Tre sono stati i brani in programma eseguiti dalla PMCE (Parco della Musica Contemporanea Ensemble), che hanno ripreso due lavori del passato recente di Reich ‘Electic Counterpoint’ (1987) e ‘City Life’ (1995), e ‘2x5’ (2009) presentato in prima assoluta al pubblico romano. Compresi nello spettacolo anche i due cambi di palco, doverosi, dato l’affollamento di musicisti e le differenziazioni strumentali e stilistiche dei tre brani.
I giovani chitarristi dei Conservatori e delle Scuole di musica di Roma, che hanno aperto il live, non si sono lasciati prendere dall’emozione, suonando sempre in maniera pulita ed essenziale, accanto alle due chitarre ritmiche, esperte, di Luca Nostro e Bernardo Nardini e a quella solista di Roberto Cecchetto. Chitarre per tutti i gusti dalle ‘Rickenbacker’ alle ‘Gibson’, dalle ‘Telecaster’ alle ‘Stratocaster’. Un’ubriacatura sensoriale tra delicati riff e assoli conturbanti.
Il cambio di palco fa largo a due batterie (Antonio Caggiano, Flavio Tanzi), quattro chitarre elettriche (Luca Nostro, Paolo Ceccarelli, Bernardo Nardini, Fabio Perciballi), due bassi (Nicolò Pagani, Giovanni Pallotti) e due pianoforti (Oscar Pizzo, Francesco Prode). Due set e cinque strumenti per una partitura che lo stesso Reich vuole ed osa definire ‘rock’. E di rock c’è la partitura, il timbro, gli accordi, il groove. Così come il genere s’impossessa anche del direttore d’ensemble, Tonino Battista, che diletta e coinvolge il pubblico nella sua orchestrazione movimentata, quasi ballata. Si fa fatica a rimanere in poltrona.
Più ambientale e post-minimalista il terzo lavoro, ‘City Life’, pezzo sperimentale che unisce agli strumenti una serie di “effetti sonori” in field-recording: clacson, freni di auto, allarmi, sirene, porte che sbattono, battiti cardiaci, suoni di metropolitana, le voci degli uomini e delle donne di New York registrate dallo stesso Reich nei dintorni di casa sua e infine, a chiudere la sezione intitolata “Heavy Smoke”, le comunicazioni radio del NY Fire Department durante il primo attacco al World Trade Center del 1993. A dialogare con la parte elettronica, un nuovo organico orchestrale composto da due flauti (Manuel Zurria, Paolo Fratini), due oboe (Giovanni Cretoni, Pietro picone), due clarinetti (Paolo Ravaglia, Luca Cipriano), due violini (Paolo Sassi, Suvi Valjus), una viola (Gabriele Croci), un violoncello (Francesco Sorrentino), un contrabbasso (Massimo Ceccarelli), due pianoforti (Gilda Buttà, Francesco Prode), due tastiere campionate (Lucio Perotti, Oscar Pizzo), due vibrafoni (Antonio Caggiano, Flavio Tanzi) e una percussione (Antonino Errera). Una giungla di suoni per raccontare la più cosmopolita, la più esagerata e ipertrofica metropoli del mondo, New York. A riempire l’ambiente sono il caos, il rumore, la frenesia della vita metropolitana, a tratti si prova fastidio per questo snaturato habitat da terzo millennio, che ricorda anche un po’ Roma, ma a tratti arriva il sollievo che da noi questa metamorfosi non si è ancora del tutto realizzata.

Lina Rignanese

venerdì 9 aprile 2010

POESIA E PITTURA, RIVOLUZIONE E LIBERAZIONE


















«Lui è una rockstar della poesia e della pittura» (R. Bottoms). Delle capacità poetiche e della sua importanza nell’onda travolgente della Beat Generation come figura carismatica, poeta e creatore della libreria e casa editrice “City Lights”, si sapeva. Ma del linguaggio pittorico di Lawrence Ferlinghetti si è sempre parlato e saputo meno. L’occasione per conoscere il suo tratto, il suo stile e l’intensità espressiva ci è data dalla mostra “Lawrence Ferlinghetti: 60 anni di pittura” accessibile fino al 25 aprile presso il Museo in Trastevere di Roma. La mostra presenta oltre 50 opere dell’artista, tutte provenienti dal suo studio di San Francisco, divise cronologicamente in tre sezioni e un video realizzato per l’occasione da Christina Clausen ed Elettra Carella Pignatelli, che raccontano dell’artista di New York attraverso i suoi scritti, il materiale dell’archivio di Rai Teche e quello inedito dell’archivio di Rita Bottoms (curatrice ed amica di Ferlinghetti) e di Antonio Bertoli (poeta, scrittore, uomo di teatro, performer).
Il primo quadro che s’incontra è “Deux” (1950), un’opera bicroma di matrice surrealista, dal tratto fluido, pulito e continuo raffiguranti due volti bendati, speculari e invertiti. È il periodo in cui Ferlinghetti si avvicina ai pennelli, si trova a Parigi per aver vinto una borsa di dottorato alla Sorbona e ha modo di sperimentare la sua creatività attraverso le avanguardie europee. Simbolica e di forte impatto visivo la “Immaculate Conception” (1971), opera d’assemblaggio con al centro una crocifissa Immacolata Concezione in posizione frontale, dipinta in blu, con un lucchetto sul pube. Da dietro la croce un volto di profilo, quello di Gesù, si sporge affacciandosi per controllare, dall’alto della sua posizione di condannato a morte, la realtà che nel frattempo si svolge ai suoi piedi: una realtà abbozzata con un reattore nucleare, carri armati, auto, aerei, palazzi: l’apocalisse umana e la morte-rinascita del divino.
Nelle tele degli anni ’90, si nota una maggiore padronanza tecnica ed uno stile personale. Sono gli anni in cui la critica riconosce il valore della pittura di Ferlinghetti. Si susseguono, varie, le personali: da ricordare quelle tra il 1991 e il ’93 a San Francisco, San José e al prestigioso Butler Institute of American Art; nel 1996 le sue opere vengono ospitate al Palazzo delle Esposizioni di Roma, per la sua prima italiana. Il concept artistico di questo periodo è caratterizzato da temi politici e sociali. L’attivismo politico è sempre stato prerogativa dell’ambiente beat: “solo i morti non sono impegnati”, diceva nel suo “Fantasy” (1959). Ferlinghetti tende a farsi portavoce di quell’umanità che soffre e “che abita ogni periferia del dolore” intingendo da quella compassione buddhista a lui tanto cara. In “Closing of the Fronter” (1990) e in “Provincetown” (1994-95) si affronta il tema dell’immigrazione e l’artista condanna ogni politica di chiusura: l’uno raffigura la triste verità della frontiera, l’altro la speranza, tradita, di partecipare al sogno americano. Sono, inoltre, le contraddizioni del sistema americano ad essere rappresentate nell’aspetto più crudo, violento ed angosciante, nel lavoro “This is Not a Man” (1993-94). È una tela dalla forza comunicativa dirompente, ispirata ad una foto appartenuta al fratello dell’artista, che per vent’anni è stato assistente nella camera da morte della prigione federale di Sing Sing.
La sezione dedicata ai lavori dal 2000 al 2009 ci mostra, invece, un Ferlinghetti che ritrova il senso catartico della pittura. I fatti dell’11 Settembre creano una frattura nella sua espressività, mentre nelle sue poesie non rinuncia al pacifismo radicale e critica la politica che sceglie, come soluzione, l’attacco bellico; tuttavia, la pittura coeva resta incontaminata e muove in direzione di ciò che lui stesso definisce “Fuga Lirica”: “un impulso verso la potenza della bellezza e la purezza del piacere, come strumenti naturalmente opposti all’odio, “pura” luce non macchiata dall’inquinamento, politico o ambientale”. Degni di nota, la straziante e passionale “Dechirée” (2009) o l’assurda ed esilarante “Bagno di seni” (2006).
Un artista, un intellettuale a tutto tondo, uno “zen-fool” o un “vagabondo del Dharma”, direbbe Kerouac. Un poeta che ha innalzato la poesia a rivoluzione e la pittura a liberazione: “E non dimenticate di dipingere/ tutti coloro che hanno vissuto la/ propria vita/ come portatori di luce./ Dipingete i loro occhi/ e gli occhi di ogni animale (…)/ Dipingete la luce dei loro occhi/ la luce di una risata illuminata dal sole/ la canzone degli occhi/ la canzone degli uccelli in volo”.

Lina Rignanese

mercoledì 7 aprile 2010

AMORE E NON-MORTE

di Emiliano Sportelli


















Il sentimento, sia esso benevolo o malvagio, è insito nell’uomo stesso. La disperata ricerca di trovare, o meglio ri-trovare, qualcuno che faccia parte di noi stessi porta l’essere umano a confrontarsi con eventi a cui il fato dà un enorme aiuto nella loro attuazione. Il bene o il male, l’amore o l’odio sono “armonie” dell’animo umano che inevitabilmente ci conducono di fronte ad un bivio; e sta noi valutare la strada da intraprendere per cercare poi di soddisfare il nostro bisogno di vita.
La riuscita del nostro viaggio dipende soltanto dal sentimento che riusciamo a mettere a disposizione del nostro io; portare a compimento un percorso fondato sull’amore che pian piano si trasforma in qualcosa mai immaginato, il quale alla fine riesce a far piangere anche il più seducente dei dannati.

Forse ci dovremmo un po’ discostare dallo stereotipo comune che circonda il mito del vampiro, vista da sempre come una figura dannata ed ingannatrice; il non-morto che Francis Ford Coppola rappresenta nel “suo” Dracula invece, incarna più che altro l’idea di un eroe maledetto che ha perso il suo amore e che lotta contro sé stesso più che con gli altri. L’unico e vero nemico del conte Dracula – interpretato qui da un impareggiabile Gary Oldman – è lui stesso; il suo bisogno d’amore l’ha portato alla dannazione eterna e solo la riconquista di quel suo perduto sentimento del cuore risulterà essere il motivo chiave che darà un senso alla perdita della sua anima.
In fin dei conti, l’idea di unire le due facce dell’animo umano in un essere che ormai ha assaporato sia il lato dolce che quello amaro della vita è uno dei cardini del film di Coppola.

Il resto diviene infine soltanto storia: l’arrivo al castello in Transilvania del giovane Jonathan Harker (Keanu Reeves) e la sua lenta discesa nell’abisso del terrore, il viaggio del conte Dracula in Inghilterra compiuto al fine di rivedere la sua amata Elisabetta negli occhi della delicata Mina Murray (Winona Ryder), la lotta del dottor Van Helsing (Antony Hopkins) contro le forze del male.

Per alcuni versi il Dracula di Coppola richiama alla mente il Nosferatu di Werner Herzog; entrambi i registi infatti creano un personaggio che, come detto, molto si discosta dall’idea del vampiro malefico e che abbraccia, più che altro, una dimensione triste e malinconica; in entrambi i lavori infatti, sia Oldman con Coppola che Kinsky con Herzog, è questa la figura che ne viene fuori e che per alcuni momenti ci fa quasi immedesimare in un protagonista così tanto ripudiato.
A mio parere uno dei Dracula che più è rimasto fedele al romanzo di Bram Stoker; Coppola infatti ci consegna un lavoro che in parte si rifà allo stile epistolare con cui lo scrittore di Dublino ha scritto il suo romanzo più famoso.

Vincitore di tre Oscar – miglior trucco, migliori costumi e migliori effetti speciali sonori – il film rimarrà uno dei capisaldi dell’horror anni ’90, una pellicola che allo stesso tempo riesce ad infonderci un senso di angoscia, paura e tristezza.

lunedì 5 aprile 2010

CANZONI DALLO SPAZIO E DAL VENTO














“Il modo in cui ogni volta impariamo a guardare il mondo è sempre soltanto uno degli infiniti modi possibili. Cambiare modo di guardare le cose significa cambiare il mondo.” Questa è la poetica di Alessio Bonomo, il cantautore napoletano, esibitosi al Fanfulla 101 (Circolo Arci) in un duetto di chitarre con il poliedrico Matteo D’Incà alla chitarra elettrica disturbata e all’elettronica. Il cantautore è conosciuto ai più soprattutto per la sua esibizione sanremese nel 2000 con il brano “La croce”, classificatosi secondo al Premio della critica ed inserito tra le canzoni da ricordare dell’ultimo secolo nel “Grande dizionario della canzone italiana” edito da Rizzoli, a cura di Dario Salvatori. Il videoclip del brano è stato realizzato da Oliviero Toscani e dal suo progetto “Fabrica”, dopo esser rimasto colpito dalla sinteticità e dall’intensità delle parole. Il live attraversa il suo percorso artistico, con canzoni del suo album d’esordio “La rosa dei venti” (2001), prodotto da Fausto Mesolella degli Avion Travel e pubblicato dalla Sugar Music di Caterina Caselli e dell’EP “Un altro mondo” (2007), prodotto da Roberto Romano e uscito con l’etichetta Rossodisera, che anticipa l’uscita del prossimo album in corso d’opera. Lo spettacolo è un misto di testi visionari, atmosfere rarefatte e violenti momenti elettronici. Fondamentale l’apporto sonoro di Matteo D’Incà, istrionico, ludico ed intenso. Alessio Bonomo canta quasi parlando e racconta le sue storie con un fare sfacciatamente ironico, irriverente ed ingenuo come un bambino. E come un bambino fa sorridere e riflettere.

Lina Rignanese

sabato 3 aprile 2010

FRANCESCO GIANNICO E LA MUSICA DEI NON-LUOGHI

















Un concerto minimalista quello di Francesco Giannico al Fanfulla 101 (Circolo Arci), il quale ha finalmente svestito i panni che lo avevano accompagnato agli esordi, quelli di Mark Hamn. Il suo ultimo lavoro ‘Folkanization’ (2009), pubblicato per l’americana ‘Porter Records’ è un segno di matura consapevolezza delle proprie capacità artistiche: un ipnotico elettro-ambient figlio di uno scenario post-industriale e insieme la riscoperta delle sue radici più folk. L’artista riesce a trovare il giusto equilibrio tra field recording, dromi, sperimentazioni sintetiche, musica strumentale preregistrata e melodie acustiche, così da riuscire a far passare l’ascoltatore da ambienti aperti, naturali ed incontaminati, ai fastidiosi, martellanti e vorticosi suoni urbani. Il live ha un po’ sofferto la mancanza degli strumenti acustici, cosicché quel suo personalissimo stile di unire melodie acustiche a tutta una composizione elettronica, non si avvertono, scemano e gli intenti emotivi e concettuali portati avanti negli album da studio restano lontani. Aiutano però, rinvigoriscono, catturano il pubblico, le immagini del video che scorrono dietro le spalle di Francesco: ‘A Nowhere Place’, un non-luogo che con la musica gioca a ridar voce al sud, a ricreare una voce senza tempo, che di tamburelli e corde folk non ha nulla, ma che sa fare ben trasparire, specie nella sensazione di passeggiata, sotto il sole cocente e allietata dal vento, tra silenziose e polverose stradine di campagna dove si riversano i rumori di vita quotidiana che provengono dalle abitazioni della gente. Meravigliose e sognanti in questa atmosfera, i brani ‘Kami akan biasi’ o ‘Caminar con mi cerebro’. L’artista di Carosino(TA)ci ha regalato un viaggio stralunato sbigottito e smarrito da percorrere, da seduti, nelle varie dimensioni dei non-luoghi.

Lina Rignanese