martedì 25 gennaio 2011

NIGHTMARE ON ELM STREET

Da qualche anno a questa parte la voglia di girare re-make (ossia riproposte di vecchi lavori datati), più o meno fedeli all’originale, sta prendendo piede nel cinema internazionale. Film come “Psycho” o “Halloween”, rifacimenti dei due anonimi lavori di Alfred Hitchcock e John Carpenter, ne sono dei classici esempi; ovviamente queste riproposizioni appartengono, senza ombra di dubbio, ad un livello inferiore rispetto agli originali, ma nonostante ciò non nego mai la grande voglia di andare al cinema, sedermi e godermi quel film che magari avevo visto anni fa in televisione.
E lo stesso discorso l’ho fatto quando ho visto il trailer di un altro film cult dell’horror anni Ottanta: “Nightmare – Dal profondo della notte”. Era il 1984 quando Wes Craven ci fece conoscere quel cattivo ma non troppo (passatemi il termine) di Freddy Krueger e con lui la fobia del sonno, la paura del chiudere gli occhi e di ritrovarsi così nell’aldilà senza, forse, neanche crederci. Ed ecco così servito sul piatto un nuovo incubo, una nuova discesa nell’oblio dove la sola arma che ci viene fornita è lo stare svegli, sforzandosi di rimanere desti per ore ed ore provando però a non cadere nella trappola della pazzia.
Diretto nel 2010 da Samuel Bayer, “A Nightmare on Elm Street” si è subito trasformato in un pilastro dell’horror made in U.S.A. riuscendo a riportare lo spettatore a riassaporare le vecchie paure che lo tenevano sveglio nelle calde nottate estive, dove guardare Notte Horror diventava il vero svago di tutte le vacanze.
Al suo primo vero lavoro come regista, Bayer ci ha presentato un nuovo profilo del più famoso Krueger di Craven; in questo film, infatti, il cattivo dalla faccia bruciata non lo si vede più sotto la luce del malvagio/divertente, è noto a tutti il carattere ora giocondo, ora crudele di Freddy, caratteristica questa che lo ha sempre contraddistinto rispetto a tutti gli altri cattivi delle varie saghe horror.
Bayer, invece, ci fornisce un tratto del tutto nuovo del protagonista, un carattere che non lascia più spazio al divertimento, ma si trasforma solo in pura cattiveria; i sorrisi a cui ci aveva abituato in passato Robert Englund spariscono, al loro posto troviamo solo gli artigli di Jackie Earle Haley (ottima la sua interpretazione) che davvero ci fanno paura.
Ovviamente rispetto al passato gli effetti speciali sono migliorati ed hanno portato il film ad acquisire un contorno più marcato, ma le vere scene del film, quelle che hanno segnato un decennio sono rimaste le stesse: la classica scena del bagno di Nancy (Rooney Mara) non è praticamente cambiata, così come si sono volutamente tenute le tetre filastrocche cantate dai bambini. Un mix di nuovo e vecchio quindi che hanno permesso al film di ritagliarsi uno spazio non da poco nell’attuale panorama cinematografico.
Quindi attenti a non addormentarsi, perché qualcuno con cappello a tese larghe e maglione a strisce rosso/verdi può entrare in un luogo dove nessuno può difendervi: i vostri sogni.

Emiliano Sportelli

venerdì 21 gennaio 2011

BRENDOM

Chi l’ha detto che gli eroi sono morti, che i buoni ormai sono una razza in estinzione e che il male ha strada spianata? Esiste un luogo, infatti, dove c’è ancora chi si batte per giuste cause, qualcuno che spende la sua vita per proteggere i più deboli, che combatte ogni giorno contro soprusi e violenze e che si lascia guidare dal suo cuore. Non sforzatevi di cercare questo posto su qualche cartina geografica, sprecherete il vostro tempo; questo scenario è soltanto disegnato con matita e inchiostro ed appartiene al mondo del fumetto popolare italiano firmato Sergio Bonelli. Stiamo parlando di Brendon, personaggio partorito dalla mente di Claudio Chiaverotti e che accompagna i “bonelliani” già da tredici anni.
La nostra storia si svolge in un medioevo prossimo venturo chiamato “Nuova Era”, il mondo come siamo abituati a conoscerlo è ormai un ricordo passato, i più forti sono gli unici ad andare avanti, i deboli devono fermarsi e prendere posto nelle case delle anime perdute. In questo universo ecco spuntare dalle ceneri della giustizia il nostro Brendon un cavaliere di ventura (cioè una specie di investigatore dei giorni nostri) dallo sguardo penetrante e malinconico allo stesso tempo; un pellegrino del mondo sempre alle prese con nuove ed entusiasmanti storie costellate da arcani misteri, subdoli assassini e ovviamente bellissime donne.
Ogni albo immerge il lettore in un’atmosfera a metà strada tra il fantasy e l’horror, un viaggio onirico costellato da bellissimi paesaggi che sembrano quasi richiamare le ambientazioni di quella “Storia Infinita” che tanto ci ha fatto sognare quando eravamo bambini. Tutto questo ed altro ancora lo si deve, senza ombra di dubbio al “papà” di Brendon: Claudio Chiaverotti, già sceneggiatore in passato di numeri importanti del più famoso Dylan Dog di Tiziano Sclavi, ma divenuto con Brendon la vera punta di diamante del fumetto fantasy nostrano. Un fumetto che sprigiona la sua forza non soltanto grazie alla sceneggiatura di Chiaverotti, ma per merito anche di una squadra di disegnatori di prim’ordine: i vari Corrado Roi (uno dei beniamini di Dylan Dog), Lola Airaghi ed Esteban Maroto (solo per citarne alcuni) contribuiscono con china ed inchiostro a rendere ancor più piacevole agli occhi la lettura delle gesta del nostro eroe.
Un fumetto questo che, personalmente, richiama per certi versi sia il famoso “The Crow” di James O’Barr che l’omonimo film di Alex Proyas, non a caso le fattezze di Brendon ricordano molto quelle di Eric Draven; lo stesso cognome del protagonista D’Arkness (tradotto volgarmente “d’oscurità”) sottolinea ancor di più l’atmosfera tetra dello scenario brendoniano e dà ragione all’animo cupo e triste del cavaliere di ventura.

Emiliano Sportelli

LA QUALUNQUE SATIRA

Era dai tempi del ragioner Fantozzi che il cinema italiano non si colorava di una maschera così spietatamente italiana. Cetto La Qualunque, creatura del siculo-lombardo Antonio Albanese e dello sceneggiatore Piero Guerrera, nasce nella Tv della Gialappa’s Band, poi ripresa a ‘Che tempo che fa’. Dal piccolo schermo al cinema il passo è stato breve (e necessario). Esce, così, nelle sale italiane dal 21 gennaio “Qualunquemente”, regia di Giulio Manfredonia.
Cetto La Qualunque torna in Italia dopo una lunga latitanza all’estero, nel frattempo si è rifatto una nuova famiglia, che nel ritorno a casa si incontra/scontra con la moglie Carmen e il figlio Melo. I vecchi amici lo informano che le sue proprietà (rigorosamente abusive) sono minacciate da un’ondata di legalità che dilaga nella cittadina. Le vicine elezioni potrebbero avere come esito la nomina a sindaco di Giovanni De Santis, la faccia pulita della politica. Così, per salvaguardare gli interessi propri e quelli degli amici, a Cetto non rimane che scendere in politica. La campagna elettorale si fa dura…
Cetto incarna alcuni atteggiamenti di certa Italia (non solo meridionale, ovviamente). Un personaggio arrogante, incivile, maschilista, misogino, indifferente, egoista, attaccato ai propri interessi e alla propria famiglia (anche se ne ha due, oltre alle tante scappatelle con escort, pardon… prostitute), ignorante, ipocrita, fanfarone, superbo, corrotto, ricattabile, amante dei soldi e “dellu pilu”.
Fondamentale la costruzione filmica del “mondo di Cetto”: l’uso dei colori a tinte forti e definite, l’esagerazione delle acconciature, l’estremizzazione dei comportamenti di tutti i personaggi, danno al film quel tocco cartoonistico e fumettistico di astrazione e al tempo stesso di iper-realismo. Un mondo che rimanda agli eccessi, all’opulenza e all’estrema volgarità da liberto arricchito, come un moderno Trimalcione. E se nella villa del ex-liberto strabordava cibo nella danza bulimica delle portate e dei servi, nella villa calabra, invece, ci s’ingrassa nella “bulimia dell’avere”, dai più disparati oggetti trash, alle donne che diventano “cose”, agli amici super-interessati.


Confessa Albanese: “Cetto ci ha dato (ad Albanese e a Guerrera, lo sceneggiatore, nd) il grande privilegio di ridicolizzare comportamenti e modelli, che per molti saranno furbeschi e vincenti, ma per noi sono solo ignoranti e patetici”. Ridicolizzare il potere marcio e becero attraverso la leggerezza della comicità: questo intento riesce alla perfezione.
Ci si ritrova a sorridere, a ridere, ma amaramente, dinanzi a una storia e a un personaggio in cui ci imbattiamo quotidianamente nelle cronache dei giornali e nella vita reale. Così, quelle che sono delle riuscitissime battute comiche, come “Vedi come sei maschio senza casco!”, oppure “Non sono le donne che devono entrare in politica, ma la politica che deve entrare nelle donne”, rivelano un pensiero subdolo e viscido che poi così estraneo nella nostra Italietta non è.

Lina Rignanese

lunedì 17 gennaio 2011

IL MONDO SOTTOSOPRA DI CHAGALL


















“Rivelami il mio cammino. Non vorrei essere come gli altri; io voglio vedere un nuovo mondo”. Sembrerebbe questo il pensiero onnipresente nella vita artistica di Marc Chagall (1887-1985), autore tra i più ispirati del XX secolo. A quindici anni dalla sua scomparsa, il Museo dell’Ara Pacis ospita (22 dicembre 10 – 27 marzo 11) l’esposizione: “Chagall. Il mondo sottosopra”. 140 dipinti e disegni (alcuni inediti) provenienti da collezioni private, dal Musée National d’Art Moderne George Pompidou e dal Musée National Marc Chagall di Nizza. È disponibile anche il catalogo della mostra curato da Maurice Fréchuret e Elisabeth Pacoud-Rème.
Ciò che rende particolare la produzione artistica del bielorusso naturalizzato francese sono, senza dubbio, i soggetti e il modo di rappresentarli. Uomini-gallo, animali ibridi, persone con la testa rovesciata o con il capo staccato, donne volanti, corpi in strane contorsioni circensi, paesaggi ribaltati. Ciascuna tela appare libera da ogni tipo di canone prospettico o di legge gravitazionale. Tutto è ribaltato. È ‘sottosopra’.


Il mondo da lui rappresentato appare come una quarta dimensione dove tempo e spazio sono un tutt’uno. Ogni cosa è capovolta, ma al tempo stesso non lo è, poiché, come scrive lo stesso artista: “Un uomo che cammina ha bisogno di rispecchiarsi in un suo simile al contrario per sottolineare il suo movimento”. Ed è un movimento, spesso vorticoso, insistente, urgente, come un esodo biblico o un atto rivoluzionario. Sono, in effetti, questi due gli aspetti che si rincorrono, si scontrano, a volte si congiungono (come nel trittico “Resistenza”, “Resurrezione” e “Liberazione”).
Tra i personaggi maggiormente rappresentati vi è il rabbino barbuto con la Torah, o l’ebreo errante delle immagini bibliche e che, probabilmente e metaforicamente, sarebbe lo stesso pittore errante, come suggerirebbe Majakovskij nel suo gioco di parole: “Plaise a Dieu que chacun chagalle (camminare a grandi passi, in russo) comme Chagall” (“Piaccia a dio che tutti camminino a grandi passi come Chagall”). Torna, dunque, il movimento, il cammino, proprio come un rimosso atavico che riaffiora sulla pelle del pittore, il quale avverte il bisogno di rendere giustizia agli innumerevoli esodi storici. Scrive nell’autobiografia: “L’esercito avanzava e, di pari passo, la popolazione ebraica retrocedeva, abbandonando le città e i sobborghi” e conclude, con un senso di protezione, “sentivo il desiderio di accoglierli nei miei quadri, per metterli al sicuro”.
L’altro grande asse, intorno al quale ruota l’immaginario chagalliano è la rivoluzione d’Ottobre, alla quale egli stesso prese parte. Dirà di Lenin: “La Russia si copriva di ghiaccio. Lenin l’ha messa sottosopra, proprio come io ribalto i miei quadri”. Ogni rivoluzione ha in sé il superamento e il ribaltamento dello status quo e dei valori in esso condivisi. E altrettanto fa la sua pittura, a un passo tra i lubki (stampe della tradizione russa), e il Surrealismo, ma, al tempo stesso, sempre fuori da queste etichette. Libero di fare a modo proprio: “Mi tuffo nelle mie riflessioni e volo al di sopra del mondo”.



Lina Rignanese

venerdì 14 gennaio 2011

I CONTADINI SFRATTATI DALLA SANTA SEDE














Un nuovo anno cominciato nel peggiore dei modi per i contadini e le loro famiglie che vivono e lavorano in località Acquafredda, periferia ovest di Roma. Per loro è scattata la pratica di sfratto attuata dal Capitolo di San Pietro, che sarà esecutiva tra due settimane.
Nella mattinata del 13 gennaio, una delegazione di contadini e rappresentanti della Federazione dei Verdi, hanno organizzato un sit-in di protesta e (più che altro) di visibilità, presso largo Giovanni XXIII, all’imboccatura di viale della Conciliazione.
Ad accogliere i passanti e i giornalisti accorsi, un banchetto di ortaggi e verdure biologiche, gentilmente donati ai presenti, e un volantino con su scritta, in italiano e in inglese, la lettera aperta destinata a Benedetto XVI, nella quale viene chiesto al Papa: “di incontrarLa per comprendere le ragioni che hanno portato agli sfratti, e cercare di trovare una soluzione più umana e benevola”.


Il terreno in questione, di proprietà della Chiesa, è stato da oltre cento anni regolarmente occupato, gestito e coltivato da quattro generazioni di contadini, sempre puntuali nei pagamenti d’affitto – dicono i protagonisti. “La cosa che fa più rabbia” – afferma Anna – “è che nessuno si è degnato di darci una spiegazione. Siamo decine di famiglie che ad Acquafredda vive e lavora da sempre”. Continua, rivelando l’incombente preoccupazione: “dove ci manderanno? Qui abbiamo casa e lavoro. In questi tempi bui come faremo senza le terre e le nostre case?”.
Non solo le autorità competenti del Vaticano non hanno dato motivazioni, ma sembrano restii a qualsiasi incontro con i contadini. Insomma, vige il dubbio e lo sconforto. “Il vero motivo è che costruiranno un centro commerciale” – sbotta uno dei manifestanti, che mi si avvicina e sentenzia quest’indiscrezione. Questa, per ora, resta solo una voce di sottofondo, che, però, in mancanza di chiarezza, assume i toni cupi di uno scomodo e nefasto presentimento.

Lina Rignanese

mercoledì 12 gennaio 2011

I GREMLINS

Cos’è un Gremlin? Il termine fu inventato durante la Seconda Guerra Mondiale dagli aviatori inglesi, i quali addossavano le colpe di inspiegabili guasti aerei a piccoli animaletti (i gremlins appunto) delle dimensioni di un gatto, grandi orecchie, un ghigno burlesco e un carattere da veri monelli. Folletti dispettosi, piccoli furfanti pieni di sana cattiveria.
Nel 1984 Joe Dante, regista di punta di una scuola horror datata anni ’80, pensò bene di adattare questa leggenda al mondo cinematografico; insieme a Chris Columbus (sceneggiatore del film) e all’onnipresente Steven Spielberg (il regista de “Lo Squalo” c’è sempre in progetti del genere, e lo ringraziamo) diede vita alla pellicola “I Gremlins” dando così forma e carattere a queste creature che terrificarono e allo stesso tempo riempirono d’umorismo le sale cinematografiche di tutto il mondo.
La storia è ambientata nel periodo di Natale; Rand Peltzer, un fallito inventore, compra in un piccolo negozio di Chinatown un regalo per il figlio Billy. Si tratta di un “Mogwai” un delizioso animaletto peloso di nome Gizmo che per nessuna ragione al mondo deve essere esposto alla luce, non deve venire a contatto con l’acqua e cosa più importante non deve assolutamente mangiare dopo la mezzanotte. Pur non volendo Billy trasgredisce a queste condizioni generando il caos, dapprima a casa sua, poi in tutta la città che in breve tempo viene assalita da piccole “copie” malvagie di Gizmo che si trasformano in padroni assoluti pieni di vizi, capricci e con tanta voglia di fare dispetti. L’intero paese è in balia di questi mostri, ma il ragazzo riuscirà, con un’abile stratagemma a sterminali tutti.
Il film merita sicuramente di essere annoverato tra le pellicole horror degli anni ’80 (a mio parere il decennio di più fermento per questo genere cinematografico); innanzitutto c’è un soggetto originale e che suscita grande interesse tra il pubblico: come facciano questi piccoli mostri a prendere in mano le redini della città è cosa che crea una certa curiosità, soprattutto se a farlo sono creature simili a dei peluche; c’è inoltre una questione di denuncia sociale che si può leggere tra le pieghe del film: i Gremlins, infatti, possono essere visti come l’incarnazione dei vizi della società contemporanea, non a caso in una scena del film questi mostriciattoli vengono raffigurati con sigaro in bocca, bicchiere di whisky nella mano sinistra e carte da poker in quella destra.
Con questo lavoro Joe Dante è riuscito a fondere insieme paura ed umorismo, brividi e risate portando “I Gremlins” ad essere un film di culto, a metà strada tra il fantasy e l’horror. Quindi ricordatevi: prima di guardare sotto il letto o in qualche angolo di casa assicuratevi sempre che la luce sia accesa.

Emiliano Sportelli