mercoledì 31 agosto 2011

L'APPELLO DI ZANOTELLI: MANOVRA E ARMI


















Pubblico di seguito l'appello che padre Alex Zanotelli ha rivolto alla società civile e alle forze politiche, affinché si tagli laddove lo spreco è più evidente: la macchina bellica. L'Italia è uno dei Paesi "del primo mondo" più indebitati e al tempo stesso uno dei maggiori acquirenti di tecnologie belliche. Dinanzi agli infelici tentativi, da parte del governo, di stilare una manovra finanziaria il meno iniqua possibile, dinanzi ai precari, alle famiglie che non arrivano a fine mese, la somma di 27 miliardi di euro, la spesa militare che il nostro Paese avrebbe fatto nel 2010 secondo le stime del SIPRI, appare totalmente ingiustificata e assurda.

Per firmare l'appello: http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1314206334.htm


APPELLO

Manovra e armi: "Il Male oscuro"


In tutta la discussione nazionale in atto sulla manovra finanziaria, che ci costerà 20 miliardi di euro nel 2012 e 25 miliardi nel 2013, quello che più mi lascia esterrefatto è il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa. E’ mai possibile che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro? Sono dati ufficiali questi, rilasciati lo scorso maggio dall’autorevole Istituto Internazionale con sede a Stoccolma(SIPRI). Se avessimo un orologio tarato su questi dati, vedremmo che in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, 3 milioni all’ora e 76 milioni al giorno. Ma neanche se fossimo invasi dagli UFO, spenderemmo tanti soldi a difenderci!!
E’ mai possibile che a nessun politico sia venuto in mente di tagliare queste assurde spese militari per ottenere i fondi necessari per la manovra invece di farli pagare ai cittadini? Ma ai 27 miliardi del Bilancio Difesa 2010, dobbiamo aggiungere la decisione del governo, approvata dal Parlamento, di spendere nei prossimi anni, altri 17 miliardi di euro per acquistare i 131 cacciabombardieri F 35. Se sommiamo questi soldi, vediamo che corrispondono alla manovra del 2012 e 2013. Potremmo recuperare buona parte dei soldi per la manovra, semplicemente tagliando le spese militari. A questo dovrebbe spingerci la nostra Costituzione che afferma :”L’Italia ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali…”(art.11) Ed invece siamo coinvolti in ben due guerre di aggressione, in Afghanistan e in Libia. La guerra in Iraq (con la partecipazione anche dell’Italia), le guerre in Afghanistan e in Libia fanno parte delle cosiddette “ guerre al terrorismo”, costate solo agli USA oltre 4.000 miliardi di dollari (dati dell’Istituto di Studi Internazionali della Brown University di New York). Questi soldi sono stati presi in buona parte in prestito da banche o da organismi internazionali. Il governo USA ha dovuto sborsare 200 miliardi di dollari in dieci anni per pagare gli interessi di quel prestito. Non potrebbe essere, forse, anche questo alla base del crollo delle borse? La corsa alle armi è insostenibile, oltre che essere un investimento in morte: le armi uccidono soprattutto civili.
Per questo mi meraviglia molto il silenzio dei nostri vescovi, delle nostre comunità cristiane, dei nostri cristiani impegnati in politica. Il Vangelo di Gesù è la buona novella della pace: è Gesù che ha inventato la via della nonviolenza attiva. Oggi nessuna guerra è giusta ,né in Iraq, né in Afghanistan, né in Libia. E le folle somme spese in armi sono pane tolto ai poveri, amava dire Paolo VI. E da cristiani come possiamo accettare che il governo italiano spenda 27 miliardi di euro in armi, mentre taglia 8 miliardi alla scuola e ai servizi sociali?
Ma perché i nostri pastori non alzano la voce e non gridano che questa è la strada verso la morte?
E come cittadini in questo momento di crisi, perché non gridiamo che non possiamo accettare una guerra in Afghanistan che ci costa 2 milioni di euro al giorno? Perché non ci facciamo vivi con i nostri parlamentari perché votino contro queste missioni? La guerra in Libia ci è costata 700 milioni di euro!
Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d’armi. Noi vogliamo sapere quanto lucrano su queste guerre aziende come la Fin-Meccanica, l’Iveco-Fiat, la Oto-Melara, l’Alenia Aeronautica. Ma anche quanto lucrano la banche in tutto questo.
E come cittadini chiediamo di sapere quanto va in tangenti ai partiti, al governo sulla vendita di armi all’estero (Ricordiamo che nel 2009 abbiamo esportato armi per un valore di quasi 5 miliardi di euro).
E’ un autunno drammatico questo, carico di gravi domande. Il 25 settembre abbiamo la 50° Marcia Perugia-Assisi iniziata da Aldo Capitini per promuovere la nonviolenza attiva. Come la celebreremo? Deve essere una marcia che contesta un’Italia che spende 27 miliardi di euro per la Difesa.
E il 27 ottobre sempre ad Assisi , la città di S. Francesco, uomo di pace, si ritroveranno insieme al Papa, i leader delle grandi religioni del mondo. Ci aspettiamo un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito al disarmo.
Mettiamo da parte le nostre divisioni, ricompattiamoci, scendiamo per strada per urlare il nostro no alle spese militari, agli enormi investimenti in armi, in morte.

Che vinca la Vita!

Alex Zanotelli

Napoli, 24 agosto 2011

venerdì 12 agosto 2011

SUPER SIZE ME

Nel 2002 due ragazze statunitensi fecero causa ad una nota catena di fast-food, ma si certo proprio la più famosa, quella che ha come simbolo due collinette dorate ed un pagliaccio che sembra quasi uscito da un libro di Stephen King: McDonald’s ovviamente, una multinazionale che nel campo del “cibo-veloce” non ha eguali al mondo; e sapete qual era l’accusa portata avanti dalle due ragazze?: «E’ colpa della McDonald’s se siamo obese». Sembra alquanto bizzarro, ma le cose andarono proprio così. La corporation si difese affermando che non c’erano prove del fatto che un’alimentazione basata principalmente sui fast-food fosse causa di obesità.
Parte proprio da quest’ultimo concetto il documentario “Super Size Me” dell’eroico Morgan Spurlock, un film maker statunitense indipendente, che per trenta giorni decide di diventare una cavia umana: per un mese tutta la sua dieta sarà incentrata sulla McDonald’s; colazione, pranzo e cena seduto nel più noto fast-food del mondo con l’obiettivo di svelare gli effetti della malnutrizione, cercando inoltre di capire perché gli Stati Uniti siano una tra le Nazioni con il più alto numero di obesi.
Nel corso del suo tour de force, Spurlock fu controllato da tre medici, tutti gli avevano assicurato di godere di ottima salute, nessun problema fisico o mentale; il suo peso era proporzionato alla sua altezza: 84 kg per 188 cm di altezza. Dopo i suoi “trenta giorni McDonald’s” Morgan era arrivato a pesare 95 kg, incrementando la sua massa corporea del 13%, ma non solo; il regista aveva infatti notato repentini sbalzi d’umore, un grave affaticamento fisico oltre a disfunzioni sessuali certificate dalla sua ragazza. Sono dati che lasciano senza parole e che dovrebbero far riflettere, eppure negli USA mangiare nei fast-food è pratica comune; oggi l’obesità, dopo il fumo, rappresenta la seconda causa di morte in America, ma nonostante questo ogni giorno un americano su quattro va a mangiare in un fast-food. Ma perché? Forse uno dei motivi deriva dal fatto che la catena McDonald’s copre il 43% del mercato dei fast-food, ed è ovunque: si può trovare una grande “M gialla” nelle stazioni, aeroporti, supermercati, centri commerciali, stazioni di servizio, aree di sosta e addirittura negli ospedali, così se ti senti male dopo aver mangiato il tuo “MacPanino”e bevuto la tua Coca da due litri sei già sul posto.
Con il suo documentario di denuncia, Spurlock riesce a mettere luce sulla politica delle multinazionali dei fast-food le quali, creando menù sempre più grandi (i famosi Super size) riescono nell’obiettivo di assuefare i propri clienti; già perché dopo tutti quei giorni passati tra McToast, Mcmuffin etc… il nostro Morgan quasi non riesce più a farne a meno; nonostante il suo fisico fosse ormai al limite, nella sua mente c’era ancora spazio per un bel menù firmato McDonald’s.
Tutti quanti conoscono i pericoli derivanti da una cattiva alimentazione, ma le abili strategie di marketing di queste multinazionali riescono a mascherarle alla perfezione, anzi fanno di più; in modo subdolo riescono addirittura ad “assuefare” i consumatori, inducendoli a spendere, mangiare e quindi star male. Significativa è a questo proposito una frase coniata proprio da Roy Kroc fondatore di McDonald’s: «Curatevi del cliente e gli affari si cureranno da soli». Un discorso questo molto simile al fumo, con la differenza che tutti ci sentiamo in dovere di consigliare ad un fumatore di smettere di accendere l’ennesima sigaretta, ma nessuno mai si azzarda di dire ad un obeso di controllare la sua dieta ed evitare di mangiare cibi poco sani.
Girato nel 2004, “Super Size Me” diventa non solo un documentario di denuncia contro la malnutrizione e le subdole strategia di vendita delle multinazionali, ma si trasforma anche in un “manifesto” da vedere e rivedere con l’intento di far svegliare le menti assuefatte di chi purtroppo frequenta ancora i fast-food.

Emiliano Sportelli

mercoledì 3 agosto 2011

TQ - GENERAZIONE TRENTA-QUARANTA

Nata il 29 aprile scorso, quando un centinaio di scrittori, critici, editori, giornalisti aveva indetto un’assemblea pubblica, presso la libreria Laterza di Roma, per fare il punto della situazione politica e sociale dell’editoria e, più in generale, della cultura italiana. Dicevo, è nata così la Generazione TQ – che sta per Trenta-Quarantenni, l’età dei partecipanti.
A distanza di tre mesi, il dimezzato movimento ha dato origine al proprio Manifesto politico: una presa di posizione rispetto ai tempi che stiamo vivendo e un invito alla responsabilità civica e all’autocritica. Il nemico comune da affrontare è la deriva neoliberista che devasta i diritti di tutto l’Occidente, e che in Italia ha il volto bifronte del berlusconismo (quindi populismo, illegalità, volgarità, mercificazione dei corpi e dei beni comuni) e del leghismo (razzismo, bassissimo livello culturale, autoritarismo).
Che i lavoratori dell’intelletto e della penna (ora della tastiera), finora, siano stati chiusi in torri d’avorio o in stanze in affitto (per la precarietà e il lavoro spesso non retribuito) è indubbio, così anche per loro (noi - perché chi scrive ha trent’anni e poco più) squilla la tromba della raccolta e della rivolta.
Il Manifesto si presenta in tre parti, la prima dai caratteri generali, la seconda focalizzata sull’editoria e la terza sugli spazi pubblici. Vari sono i propositi all’interno di questi tre punti, innanzitutto, la volontà di riappropriarsi di quel ruolo di intellettuale tout court che faceva tanto ‘profeta’ nel Novecento e che con gli anni zero, invece, ha visto sgretolare tra le dita il peso delle proprie parole, sempre più messe a tacere dal tintinnio del denaro. Nel mondo della cultura, come in tutto il resto, l’unica logica imperante è quella del mercato, così nel giornalismo come nell’editoria e nelle altre arti, la qualità viene sacrificata alla quantità. Dinanzi a questo aspetto, si reclama il principio della “bibliodiversità”, cioè della difesa della complessità e della varietà delle scritture “in un panorama editoriale prevalentemente orientato ai criteri estetici e produttivi del largo consumo”.
E ancora, si legge: “TQ ritiene che l’editoria, pur essendo un mercato, non possa tuttavia essere solo un mercato senza rinunciare a essere anche uno dei luoghi elettivi in cui si forma la coscienza dei cittadini; e vuole che il libro sia sottratto allo statuto di merce e restituito a quello di un bene alla cui preservazione dev’essere interessato anche chi non legge”.
Dunque, l’affermazione di ridare alla cultura il valore di bene comune, garantito, libero e accessibile a tutti, alla cui gestione debbano lavorare persone capaci e meritevoli, non certo vicine a questo o a quel partito o potente di turno. Va, inoltre, ribadita la necessità di avvicinarsi e coinvolgere il pubblico, non solo nei luoghi tipicamente adibiti alla cultura, ma anche con il riappropriarsi dei luoghi pubblici, come piazze, strade, scuole, oppure tramite azioni di “guerrilla” culturali e artistiche nei luoghi più inconsueti, come carceri, CIE, luoghi dismessi cui ridar vita, luoghi a forte valenza politica, ecc. Un proposito di “ecologia culturale” che vuole pensare anche al futuro, non solo nel formare le coscienze, ma anche nel consegnare ai figli, ai posteri, una società (spazio-tempo-cultura) meno improntata sul profitto, sull’interesse personale e sulle rivalità.
Negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando, alla stesura (a maggio) dello shttp://www.blogger.com/img/blank.giftatuto di Acta (Associazione Consulenti Terziario Avanzato), alle proposte dei teatranti e delle maestranze del Teatro Valle, si aggiunge il manifesto dei più occhialuti tra i lavoratori della cultura. Tre realtà diverse, ma convergenti nella volontà di indicare e soprattutto di intraprendere l’unica strada alternativa al neoliberismo: quella della collettività e della collaborazione tra intellettuali – tipici animali solitari e individualisti. Esporsi in prima persona per stravolgere quelle dinamiche di sfruttamento dei lavoratori, di clientelismo e corruzione, di ciniche leggi di mercato, e attivarsi per costruire un metodo nuovo di fare e di fruire dei beni della cultura.

Per chi volesse aderire attivamente scrivesse a: tq.adesioni@gmail.com

Lina Rignanese


Manifesto TQ

All’inizio del suo secondo decennio, il nuovo secolo appare ancora come un Novecento svuotato di senso. Sono caduti insieme alle ideologie anche gli ideali, insieme all’autorità del passato anche la forza del futuro, insieme alle certezze morali anche quelle materiali. Nel nostro Paese quei diritti del lavoro che erano sentiti come naturali sono stati sempre più indeboliti, e hanno cambiato di significato a seconda di chi li nominava. Lungo i nostri confini, intanto, si agitano e premono ogni giorno, con le diverse ribellioni della migrazione e del tumulto, le urgenze di milioni di uomini e donne ai quali si è scelleratamente risposto quasi solo con i CIE, veri lager dissimulati.
Se questi tempi ci sono dati da vivere, e questi sono i tempi che possiamo leggere, in cui possiamo scrivere, è giocoforza per chi lavori nell’ambito della letteratura e dell’editoria passare, dopo molti anni di indignazione solitaria, ad analisi e azioni comuni da condurre con la nettezza radicale del dovere. Questo significa, innanzitutto, osservare il diffondersi del neoliberismo come un’epidemia dell’Occidente, non solo a causa delle destre ma anche di alcune presunte sinistre e dell’inconcludenza delle altre forze politiche; riconoscere tanto quella pericolosa incarnazione demagogica del pensiero neoliberista che è il berlusconismo, con il suo portato insostenibile di autoritarismo, di sprezzo della legalità e di saccheggio, per bande private, dei beni comuni, quanto quell’ignobile razzismo padano che è il leghismo; constatare il decadimento della partecipazione democratica, il degrado dell’informazione, la distruzione del patrimonio culturale e lo smantellamento del sistema scolastico pubblico, nonché l’espulsione mirata delle donne dal mondo del lavoro e la rappresentazione deformata dei loro corpi nella pubblicità e nei media da parte di una società a cui sembra essere ancora estranea una vera cultura della differenza; ma significa anche, infine, agire, provando a correggere, nei limiti del possibile, il deficit di rappresentanza politica, la definitiva perdita di autonomia decisionale del Parlamento, la confusione e la volgarità del discorso pubblico, l’autodifesa a oltranza di quella che è un’oligarchia politica de facto, incapace di ascoltare le esigenze delle fasce più deboli, le rivendicazioni dei movimenti della società civile e le spinte di una moltitudine di cittadini senza cittadinanza in un Paese ormai multiculturale.
Reagendo a questo stato di cose e all’esclusione di almeno due generazioni di italiani dalla vita politica e produttiva, il 29 aprile del 2011 un centinaio di scrittori, critici, editori, giornalisti si sono riuniti nella sede romana della casa editrice Laterza sotto il nome di TQ, «Trenta-Quaranta», come l’età di chi ha partecipato, invocando quest’assunzione di responsabilità collettiva: con la certezza che la nostra generazione porta su di sé, per la prima volta, il fardello di mutamenti storici che riguardano tutti, e in particolare i più giovani. Nei mesi successivi a quell’appuntamento i partecipanti hanno dialogato tutti insieme in rete, concordando sull’importanza di coniugare l’uso delle nuove tecnologie e la partecipazione fisica a incontri e iniziative. Se TQ si è formata e continua a operare, non è solo per discutere, ma per intraprendere un cammino condiviso di conoscenza e di azione. Per abbracciare, con l’analisi e la pratica, i temi vasti e intrecciati dell’istruzione, della ricerca, del welfare, del mercato, degli spazi pubblici, della produzione e della distribuzione di cultura. E per ricomporre, contribuendo a riscriverne i termini, quel patto sociale che si è rotto sia per il venir meno del rapporto diretto tra crescita del livello d’istruzione e crescita del reddito, che aveva costituito in passato il fondamento della mobilità sociale, sia per l’annullamento unilaterale del mutuo scambio tra la nostra generazione e quella precedente. TQ non cerca, tuttavia, uno scontro aperto da vivere simbolicamente come «uccisione dei padri» – o delle madri.
Si propone, invece, di evitare gli errori della generazione precedente, e al tempo stesso di tenere con chi è venuto prima di noi uno scambio più autentico e profondo, che andrà impostato, comunque, su regole nuove; si propone, quanto a sé, di fare un costante esercizio di autocritica, sia individuale sia collettiva, e di assumersi obblighi – troppo spesso trascurati da molti, e forse anche, finora, da noi stessi – di chiarezza, correttezza e condivisione; si propone, infine, di agire anche e soprattutto con il pensiero rivolto alle generazioni che verranno.
TQ si è raccolta, dunque, non attorno a istanze estetiche, bensì politiche e sociali. Questo non è, infatti, un movimento artistico o letterario nel senso novecentesco del termine, ma un gruppo di intellettuali e lavoratori della conoscenza che ha l’ambizione di intervenire nel cuore della società italiana e nel tessuto ormai consunto delle sue relazioni materiali, di indicarne con maggior forza le lacerazioni – partendo dalla sistematizzazione della provvisorietà lavorativa, la vera ferita generazionale su cui si sono incistati molti dei mali contemporanei – e di avanzare una nuova visione operativa della cultura, in grado di contrastare finalmente l’incessante svalutazione che ha subito il concetto stesso di cultura e il ruolo di chi la produce e la diffonde. TQ considera la cultura un bene comune come lo è l’acqua: un bene a cui l’accesso deve essere universale e tendenzialmente gratuito e la cui gestione deve essere rigorosamente laica e basata sulla competenza. Solo in questo modo, solo combattendo ogni contrapposizione tra derive populiste e torri d’avorio, tra semplicismi anti-intellettuali e snobismi bizantini, si potrà arginare il dilagante disprezzo per il rigore e la fatica che lo studio richiede e restituire all’opinione pubblica adeguati strumenti di lettura del nostro tempo. Anche a questo scopo TQ promuoverà seminari pubblici sui saperi sia umanistici che scientifici ed economici, non solo in una prospettiva di interdisciplinarità ma anche e soprattutto di critica dei saperi stessi. Nell’intento, poi, di contrastare una preoccupante identificazione tra qualità e quantità in ambito culturale, un ricorso esclusivo a misurazioni numeriche, economicistiche, della conoscenza, TQ si impegna a praticare e a pretendere l’uso di filtri critici in grado di riconoscere e premiare la qualità. Per questo TQ adotta come uno dei suoi principi d’azione la promozione della bibliodiversità, difendendo la complessità e la varietà delle scritture in un panorama editoriale prevalentemente orientato ai criteri estetici e produttivi del largo consumo.
Questo non è un appello che basti firmare: questo è un invito, aperto a tutti coloro che lavorano nell’ambito della cultura e delle arti, a pensare e ad agire assieme, deponendo egoismi e rivalità; a mettere in gioco parte del proprio tempo e in discussione il proprio ruolo artistico o intellettuale, e a essere fortemente,fieramente cittadini, operando da mediatori tra i saperi, intervenendo nel dibattito politico, immaginando nuovi modelli di pratiche sociali. È un invito che estendiamo poi a tutto il Paese, un invito al dialogo e alla formazione di comitati TQ, rivolto a tutte le categorie di trenta-quarantenni che vorranno lavorare assieme a noi: dai ricercatori agli economisti, dagli artisti di altre discipline ai lavoratori dello spettacolo, dagli insegnanti agli operai, dai free lance ai precari del terziario avanzato – molti di loro, proprio come noi, alle prese con una somma ennesimale di ruoli distinti: nella stessa giornata, più volte al giorno.
In questo tempo di emergenza l’adesione a TQ si fonda dunque su un impegno etico in vista di un’azione politica, su un passo personale in vista di impegni collettivi. Siamo ormai pienamente convinti, infatti, che non sia più sufficiente dedicarsi ciascuno per sé, con distaccata purezza, all’arte e alla letteratura: oggi più che mai è necessario praticare un’alternativa umana e comune al lungo sonno della ragione.
per adesioni: tq.adesioni@gmail.com


Manifesto TQ/2. Editoria

In un tempo in cui l’editoria non si distingue ormai più da qualsiasi altro settore dell’economia, con l’aggravante dello sfruttamento che molti di coloro che la dirigono fanno della passione di coloro che vi lavorano, in un tempo in cui gli editori non scelgono più i bei libri sperando che vendano, ma i libri che vendono sperando che siano belli, TQ ritiene che l’editoria, pur essendo un mercato, non possa tuttavia essere solo un mercato senza rinunciare a essere anche uno dei luoghi elettivi in cui si forma la coscienza dei cittadini; e vuole che il libro sia sottratto allo statuto di merce e restituito a quello di un bene alla cui preservazione dev’essere interessato anche chi non legge. Dovendo dunque contrastare i deserti e le derive che il consumismo e il capitalismo hanno prodotto nel campo della cultura, TQ si impegna ad agire secondo quelli che possono essere definiti come criteri di «ecologia culturale» al fine di proteggere e coltivare l’unicità e la varietà delle scritture, e assume come criterio cardinale la bibliodiversità, battendosi contro l’omologazione delle scritture indotta da una produzione editoriale sempre più orientata al largo consumo. In secondo luogo TQ, constatando come la quantità di libri pubblicata ogni anno sia ormai ampiamente oltre la soglia della sostenibilità non solo culturale ma addirittura commerciale, si fa promotore di una proposta di riequilibrio nella produzione dei libri che impegni gli editori a privilegiare la qualità rispetto alla quantità. Nell’operare di TQ, due sono le preoccupazioni che ne dettano le scelte, l’una
strettamente legata all’altra: etica e qualità.
Etica. L’etica di TQ editoria è improntata a un continuo impegno di trasparenza e di riconoscimento della competenza e del merito.
Trasparenza. TQ promuove la trasparenza e la pubblicità, da parte degli editori, delle modalità di ottenimento e di gestione dei finanziamenti pubblici (contributi, provvidenze, agevolazioni) e le eventuali forme di reinvestimento non lucrativo. TQ invita inoltre a compiere un’opera di divulgazione dei meccanismi – e delle anomalie – che governano la filiera editoriale. Concentrazioni editoriali. TQ difende e sostiene l’indipendenza e l’autonomia in ogni segmento della filiera; intende inoltre individuare e formulare proposte di correzione per ogni stortura che provenga dalla concentrazione, nelle mani di pochi grandi gruppi, non solo della fase di produzione dei libri (concentrazione orizzontale attraverso la proprietà dei maggiori marchi) ma anche di quella di distribuzione e vendita (concentrazione verticale attraverso la proprietà delle reti
distributive, delle catene librarie e di altri servizi editoriali).
Diritti del lavoro. TQ si impegna a promuovere la dignità e i diritti dei lavoratori editoriali stabilendo regole e parametri e approntando contratti e tariffari di riferimento per i mestieri dell’editoria, dai correttori di bozze agli impaginatori. In particolare, prendendo posizione in favore di una delle categorie professionali più importanti e meno tutelate dell’editoria, TQ si farà promotore di una campagna pubblica affinché il nome del traduttore appaia quantomeno sul retro di copertina e nel frontespizio interno di tutti i libri e sia sempre citato nelle recensioni e nelle segnalazioni su giornali, radio, televisioni e internet. Inoltre TQ intende redigere e far adottare quanto più possibile un tariffario generale che, contemperando le esigenze degli editori e quelle dei traduttori, esprima standard minimi di compenso per le varie lingue.
Nel suo sito, infine, TQ allestirà un database che favorisca il debutto degli esordienti più capaci e l’affermazione di traduttori che abbiano svolto poche traduzioni ma che abbiano dimostrato abilità e affidabilità.
Editoria a pagamento. Condannando senza compromessi antiche e cattive pratiche come l’editoria a pagamento o in conto d’autore e l’ottenimento di recensioni a pagamento o in cambio dell’acquisto di inserzioni pubblicitarie, TQ stigmatizza la legittimazione e la promozione che tali pratiche stanno ricevendo da gruppi editoriali di grande peso e prestigio in un processo di finta democratizzazione della cultura, in base al quale si considera ormai la pubblicazione come un diritto.
Sostegno pubblico. Esercitando una costante opera di pressione sulle forze politiche e sulle istituzioni competenti, TQ reclamerà l’attuazione di politiche di lotta al precariato in ambito culturale, nonché di promozione e sostegno ai libri di qualità e alle librerie indipendenti.
Ecosostenibilità. TQ promuove l’utilizzazione di carte, inchiostri, metodi di lavorazione dei libri e di smaltimento dei rifiuti pienamente ecosostenibili.
Qualità. TQ si impegna ad alimentare l’attenzione pubblica sulla questione della qualità letteraria, che è indipendente dal successo commerciale di un libro, e a fare ragionate battaglie contro le più deleterie derive mercatistiche dell’editoria italiana, come lo spostamento delle risorse delle case editrici dalla fase di produzione a quella di promozione dei libri. Proprio in quest’ottica TQ intende costruire un circuito virtuoso per i libri di qualità che inizi anche prima della loro pubblicazione e che predisponga, attraverso i migliori critici letterari, librai e lettori, un’accoglienza attenta e qualificata in grado di aumentare la longevità, la risonanza e la redditività di quei libri.
TQ chiede anche agli autori di abbracciare e promuovere pratiche di qualità nel lavoro creativo e pratiche etiche in quello critico. Sempre a tal fine TQ si ripropone di essere un riferimento e un raccordo tra le migliori voci della critica letteraria che sono, negli ultimi anni, sempre più isolate e
inascoltate, così da conferire al loro impegno in favore dei libri di qualità ancora maggior forza e risalto e da fondare, insieme a loro, una nuova autorevolezza.
A testimoniare e consolidare questa militanza per la qualità letteraria vi è anche il proposito di TQ di segnalare opere miliari da tempo fuori commercio, creando un catalogo di grandi libri dimenticati.
Osservatorio sulle buone e cattive pratiche. TQ si impegna a realizzare un osservatorio sulle buone pratiche che censisca sul territorio i soggetti di qualità (case editrici, librerie, biblioteche, festival, agenzie letterarie e organi di informazione libraria) e a incoraggiare forme di solidarietà e cooperazione tra questi soggetti. Specularmente TQ si ripropone di denunciare in sede pubblica tutte le pratiche che contrastino con principi di etica e di qualità e in particolare quelle che tendono a erodere gli spazi della critica e a depotenziare il dibattito e la formazione di un’opinione pubblica: tra esse l’abuso delle anticipazioni dei libri e la pubblicazione, sui giornali italiani, di recensioni positive della stampa straniera fornite a spese dell’editore.
Anche in materia di premi letterari TQ eserciterà un ruolo attivo di osservatorio critico, al fine di documentare le dinamiche di selezione dei premi italiani e di segnalare pubblicamente le eventuali incongruenze tra le dichiarazioni di principio e gli esiti delle votazioni. Infine TQ intende formare un nuovo pubblico, educare nel tempo una comunità di lettori forti, facendo riassaporare il piacere estetico della lettura attraverso interventi pubblici e seminari. Si ripromette di perseguire questo obiettivo anche proponendo e valorizzando, sia in ambito accademico che giornalistico, un’attività di critica letteraria in cui la recensione sia dialogo con il libro e con i lettori e bandisca gli slogan promozionali in favore di un giudizio complesso e competente.

Manifesto TQ/3. Spazi pubblici

Dopo una lunga stagione di vuoto partecipativo e individualismo ideologico, nell’intento di creare nuove forme di comunità culturale e di condivisione dei saperi e delle pratiche politiche, TQ non si limita alla dimensione immateriale della comunicazione letteraria e della proposta teorica. TQ ritiene infatti teatro della propria azione tanto gli spazi pubblici di carattere istituzionale, quanto spazi che TQ stessa contribuisca a rendere pubblici indipendentemente dalle istituzioni: luoghi dismessi, sofferenti, mercificati, di cui sia possibile riappropriarsi, restituendoli all’uso comune e modificandone la funzione.
TQ svolgerà le proprie attività in luoghi nei quali il dialogo possa avvenire in modo orizzontale, in spazi non elitari né commerciali. La definizione è ampia: può includere una piazza, una scuola, un centro sociale occupato o un festival letterario. Rispetto allo svolgimento delle attività, sarà importante mantenere una dimensione il più possibile aperta e conviviale.
TQ interverrà attivamente sul territorio e stimolerà la riappropriazione critica degli spazi pubblici e dei beni comuni, affiancando realtà già operanti e elaborando azioni autonome, come ad esempio:
• il monitoraggio delle istituzioni del territorio e delle loro politiche culturali, affinché promuovano processi virtuosi di interazione col pubblico e progetti d’interesse comune, fuori da logiche puramente mercantili e clientelari. In questo quadro TQ considera una priorità la battaglia per la
difesa e la riqualificazione delle biblioteche;
• l’occupazione, temporanea o a lungo termine, di luoghi della cultura o da restituire alla cultura, e il sostegno a occupazioni già in atto;
• azioni estemporanee di interposizione, disturbo o “guerrilla” culturale e artistica, in luoghi inconsueti o a forte connotazione politica e simbolica, come CIE, carceri, sedi di amministrazioni pubbliche, aziende.

martedì 2 agosto 2011

TEATRO VALLE OCCUPATO

Se l’Arte è lo specchio della società, dovremmo tutti provare a rimescolare le carte in tavola e ricominciare seguendo regole nuove. Quanto succede al mondo degli artisti, dei creativi e delle maestranze che lavorano nei teatri, nel cinema, nella musica, nei musei, nell’editoria, è da far accapponare la pelle: tagli incondizionati, privatizzazioni selvagge e fuori controllo, lavoro non retribuito, carenza dei diritti e un walfare state che piange da tutti i pori.
La decisione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti di sopprimere, con l’ultima finanziaria, anche l’Ente Teatrale Italiano ha davvero scardinato le porte della pazienza più sacrosanta, così i lavoratori e le lavoratrici del Teatro Valle di Roma dal 14 giugno hanno deciso di occupare quel posto storico e proseguire nella lotta per un lavoro più dignitoso, per assicurare indipendenza e libertà al pensiero artistico e per auspicare quel reddito garantito, che salverebbe e tutelerebbe l’autonomia artistica e intellettuale.
Gli occupanti hanno già modificato alcune tradizionali modalità di fruizione della cultura: alle singole e competitive performance si sostituisce la formula della cooperazione collettiva dove chi si propone può presentare la propria arte e metterla in condivisione con altri artisti e con il pubblico; agli orari di apertura ristretti tra botteghino e spettacolo, le porte del Valle sono ora aperte ad oltranza (eccetto che per i tempi tecnici degli occupanti e per le assemblee del personale artistico) e in forma gratuita o per volontaria offerta.


Molteplici gli artisti che hanno dato voce e volto alla causa: Elio Germano, Isabella Ferrari, Filippo Timi, Nada, Isabella Ragonese, Vladimir Luxuria, Edoardo Bennato, Fabrizio Gifuni e tanti, tanti altri accolti da una platea gremita e partecipativa.
Numerosi, nel frattempo, i tentativi di screditamento, come quello da parte del direttore dei Teatri di Roma Gabriele Lavia, che ha definito la situazione del Valle come “un vicolo cieco”, per non parlare degli assessori e del ministero, tutti poco o meno incuranti della novità rappresentata dal Valle. E se l’occupazione diventa simbolo di protesta in tutta Europa, qui da noi la classe politica continua a fingere che nulla stia avvenendo e che, dopo il caldo, il carrozzone ritorni in carreggiata.
A più di un mese di occupazione emergono dalle assemblee le proposte politiche: “Il Teatro Valle deve rimanere pubblico ed essere riconosciuto e tutelato come un bene comune, con un diritto soggettivo ed un finanziamento dedicato alla gestione delle attività, nelle forme giuridiche di ente o di fondazione”. Dunque una forte volontà a diventare soggetto attivo, propositivo, formativo, capace di creare un “centro dedicato alla drammaturgia italiana e contemporanea”, oltre che un “centro di formazione per tecnici di palcoscenico”.
Un rinnovamento del Valle aprirebbe una nuova stagione delle politiche culturali italiane. Con il contributo di Ugo Mattei, docente di diritto civile all’Università di Torino, si stanno immaginando forme nuove di gestione etiche, “che prevedano la possibilità di una direzione artistica plurale con la garanzia di un turn over;” – e ancora, si legge nel comunicato – “un principio ‘ecologico’ che garantisca l’equilibrio nella distribuzione delle risorse fra piccole e grandi produzioni, tra formazione e ospitalità; l’equità nelle paghe, stabilendo una forbice tra minime e massime; una politica dei prezzi, accessibile e progressiva; organismi di controllo indipendenti; trasparenza e leggibilità dei bilanci attraverso la pubblicazione in rete; elaborazione di un codice etico, modello per tutti i teatri e le compagnie”.
Insomma, oltre agli spettacoli e agli incontri pubblici dove si discute dello stato della Cultura in Italia, dal Valle emerge un nuovo modo di fare politica, diretto, partecipato e soprattutto etico e collettivo: che un nuovo mondo sia possibile anche al di sotto di un palcoscenico lo staremo a vedere.



Lina Rignanese