martedì 2 agosto 2011

TEATRO VALLE OCCUPATO

Se l’Arte è lo specchio della società, dovremmo tutti provare a rimescolare le carte in tavola e ricominciare seguendo regole nuove. Quanto succede al mondo degli artisti, dei creativi e delle maestranze che lavorano nei teatri, nel cinema, nella musica, nei musei, nell’editoria, è da far accapponare la pelle: tagli incondizionati, privatizzazioni selvagge e fuori controllo, lavoro non retribuito, carenza dei diritti e un walfare state che piange da tutti i pori.
La decisione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti di sopprimere, con l’ultima finanziaria, anche l’Ente Teatrale Italiano ha davvero scardinato le porte della pazienza più sacrosanta, così i lavoratori e le lavoratrici del Teatro Valle di Roma dal 14 giugno hanno deciso di occupare quel posto storico e proseguire nella lotta per un lavoro più dignitoso, per assicurare indipendenza e libertà al pensiero artistico e per auspicare quel reddito garantito, che salverebbe e tutelerebbe l’autonomia artistica e intellettuale.
Gli occupanti hanno già modificato alcune tradizionali modalità di fruizione della cultura: alle singole e competitive performance si sostituisce la formula della cooperazione collettiva dove chi si propone può presentare la propria arte e metterla in condivisione con altri artisti e con il pubblico; agli orari di apertura ristretti tra botteghino e spettacolo, le porte del Valle sono ora aperte ad oltranza (eccetto che per i tempi tecnici degli occupanti e per le assemblee del personale artistico) e in forma gratuita o per volontaria offerta.


Molteplici gli artisti che hanno dato voce e volto alla causa: Elio Germano, Isabella Ferrari, Filippo Timi, Nada, Isabella Ragonese, Vladimir Luxuria, Edoardo Bennato, Fabrizio Gifuni e tanti, tanti altri accolti da una platea gremita e partecipativa.
Numerosi, nel frattempo, i tentativi di screditamento, come quello da parte del direttore dei Teatri di Roma Gabriele Lavia, che ha definito la situazione del Valle come “un vicolo cieco”, per non parlare degli assessori e del ministero, tutti poco o meno incuranti della novità rappresentata dal Valle. E se l’occupazione diventa simbolo di protesta in tutta Europa, qui da noi la classe politica continua a fingere che nulla stia avvenendo e che, dopo il caldo, il carrozzone ritorni in carreggiata.
A più di un mese di occupazione emergono dalle assemblee le proposte politiche: “Il Teatro Valle deve rimanere pubblico ed essere riconosciuto e tutelato come un bene comune, con un diritto soggettivo ed un finanziamento dedicato alla gestione delle attività, nelle forme giuridiche di ente o di fondazione”. Dunque una forte volontà a diventare soggetto attivo, propositivo, formativo, capace di creare un “centro dedicato alla drammaturgia italiana e contemporanea”, oltre che un “centro di formazione per tecnici di palcoscenico”.
Un rinnovamento del Valle aprirebbe una nuova stagione delle politiche culturali italiane. Con il contributo di Ugo Mattei, docente di diritto civile all’Università di Torino, si stanno immaginando forme nuove di gestione etiche, “che prevedano la possibilità di una direzione artistica plurale con la garanzia di un turn over;” – e ancora, si legge nel comunicato – “un principio ‘ecologico’ che garantisca l’equilibrio nella distribuzione delle risorse fra piccole e grandi produzioni, tra formazione e ospitalità; l’equità nelle paghe, stabilendo una forbice tra minime e massime; una politica dei prezzi, accessibile e progressiva; organismi di controllo indipendenti; trasparenza e leggibilità dei bilanci attraverso la pubblicazione in rete; elaborazione di un codice etico, modello per tutti i teatri e le compagnie”.
Insomma, oltre agli spettacoli e agli incontri pubblici dove si discute dello stato della Cultura in Italia, dal Valle emerge un nuovo modo di fare politica, diretto, partecipato e soprattutto etico e collettivo: che un nuovo mondo sia possibile anche al di sotto di un palcoscenico lo staremo a vedere.



Lina Rignanese

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