mercoledì 7 aprile 2010

AMORE E NON-MORTE

di Emiliano Sportelli


















Il sentimento, sia esso benevolo o malvagio, è insito nell’uomo stesso. La disperata ricerca di trovare, o meglio ri-trovare, qualcuno che faccia parte di noi stessi porta l’essere umano a confrontarsi con eventi a cui il fato dà un enorme aiuto nella loro attuazione. Il bene o il male, l’amore o l’odio sono “armonie” dell’animo umano che inevitabilmente ci conducono di fronte ad un bivio; e sta noi valutare la strada da intraprendere per cercare poi di soddisfare il nostro bisogno di vita.
La riuscita del nostro viaggio dipende soltanto dal sentimento che riusciamo a mettere a disposizione del nostro io; portare a compimento un percorso fondato sull’amore che pian piano si trasforma in qualcosa mai immaginato, il quale alla fine riesce a far piangere anche il più seducente dei dannati.

Forse ci dovremmo un po’ discostare dallo stereotipo comune che circonda il mito del vampiro, vista da sempre come una figura dannata ed ingannatrice; il non-morto che Francis Ford Coppola rappresenta nel “suo” Dracula invece, incarna più che altro l’idea di un eroe maledetto che ha perso il suo amore e che lotta contro sé stesso più che con gli altri. L’unico e vero nemico del conte Dracula – interpretato qui da un impareggiabile Gary Oldman – è lui stesso; il suo bisogno d’amore l’ha portato alla dannazione eterna e solo la riconquista di quel suo perduto sentimento del cuore risulterà essere il motivo chiave che darà un senso alla perdita della sua anima.
In fin dei conti, l’idea di unire le due facce dell’animo umano in un essere che ormai ha assaporato sia il lato dolce che quello amaro della vita è uno dei cardini del film di Coppola.

Il resto diviene infine soltanto storia: l’arrivo al castello in Transilvania del giovane Jonathan Harker (Keanu Reeves) e la sua lenta discesa nell’abisso del terrore, il viaggio del conte Dracula in Inghilterra compiuto al fine di rivedere la sua amata Elisabetta negli occhi della delicata Mina Murray (Winona Ryder), la lotta del dottor Van Helsing (Antony Hopkins) contro le forze del male.

Per alcuni versi il Dracula di Coppola richiama alla mente il Nosferatu di Werner Herzog; entrambi i registi infatti creano un personaggio che, come detto, molto si discosta dall’idea del vampiro malefico e che abbraccia, più che altro, una dimensione triste e malinconica; in entrambi i lavori infatti, sia Oldman con Coppola che Kinsky con Herzog, è questa la figura che ne viene fuori e che per alcuni momenti ci fa quasi immedesimare in un protagonista così tanto ripudiato.
A mio parere uno dei Dracula che più è rimasto fedele al romanzo di Bram Stoker; Coppola infatti ci consegna un lavoro che in parte si rifà allo stile epistolare con cui lo scrittore di Dublino ha scritto il suo romanzo più famoso.

Vincitore di tre Oscar – miglior trucco, migliori costumi e migliori effetti speciali sonori – il film rimarrà uno dei capisaldi dell’horror anni ’90, una pellicola che allo stesso tempo riesce ad infonderci un senso di angoscia, paura e tristezza.

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