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di Emiliano Sportelli
A volte i nostri pensieri peggiori, quelli che ci tengono svegli la notte e ci fanno perdere il sonno, possono trasformarsi in dolci nenie che provengono da una voce densa e calda. La speranza di ri-trovare il nostro male insito nella mente di qualcun altro a noi lontano, è il motivo che spesso ci spinge a premere play sul nostro stereo, per ascoltare ed entrare così in contatto con la tristezza di un “altro noi”, cercare di stabilire un eterna empatia e portare avanti questo “silenzioso” sentimento tutte le volte che ci sentiamo isolati; ed ecco che quella lontananza che credevamo non poter colmare si trasforma in un abbraccio di note ed accordi che ci riempie il cuore. I Joy Division sono stati anche questo.
Nati dalle ceneri del punk, il gruppo di Manchester è riuscito in soli tre anni a meritarsi un posto di assoluto rispetto nell’olimpo dei grandi della musica internazionale; il loro cantante, Ian Curtis, ha preso per mano il neonato post-punk, riuscendo a portare una nuovo linfa vitale in quelle menti di giovani usciti forse un po’ delusi dal fenomeno punk, trasformatosi alla fine in una moda da seguire.
Unknow Pleasure è il loro album d’esordio datato 1979. Un disco già con spunti interessanti; dieci pezzi creati sulle sfumature e sulle esperienze di uno Ian Curtis che, ormai da anni, si portava dietro un’epilessia che non l’avrebbe mai più abbandonato. Pezzi come Disorder, She’s lost control o Shadowplay stanno già ad indicare la strada in salita che il cantante ha deciso di intraprendere, un sentiero in cui è facile perdersi senza una guida che ti prenda per mano.
Closer uscito l’anno successivo, 1980, è già un disco diverso. L’anima post-punk del quartetto perde un po’ del suo mordente che aveva contraddistinto il disco d’esordio e lascia spazio a sonorità più cupe e tetre. Un disco forgiato proprio sulle pene di Curtis e sul suo male che stava attraversando: il divorzio con la moglie Deborah, i sempre più frequenti attacchi di epilessia e le sue idee di essere già al culmine del successo e di non avere più stimoli per continuare. Canzoni come Isolation o Decades indicano proprio lo stato di malessere in cui il cantante era sprofondato.
Il 18 maggio 1980 Ian Curtis ha deciso di oltrepassare il confine tra paura, mistero e dolore; mentre il suo giradischi suonava The Idiot di Iggy Pop il paroliere dei Joy Division si è suicidato nella sua casa di Manchester lasciando un vuoto incolmabile nello scacchiere della musica underground. Aveva 23 anni.
Sono passati trent’anni da quella tragica notte, ma il ricordo legato a lui e alla sua musica resteranno in noi per sempre vivi.
si ok va bene... ma una tesi su questa roba l'hai già fatta. ora pensa ad altro
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