L'[A]lter è un contenitore senza coperchio. Una finestra sull'underground e sulle controculture.
martedì 11 maggio 2010
Al Tekfestival due sguardi su New York
(Jem Cohen)
Tekfestival (ai confini del mondo… dentro l’occidente)
Festival di Cinema Indipendente – IX Edizione 2010
“Long for the city”
di Jem Cohen, 2008, USA, 9’, Super8
“Cellar”
di Steve Staso, 2009, USA, 84’, 16mm
lunedì 10 maggio sala1
Sezione Eventi Speciali
Penultima giornata al Tekfestival presso il Nuovo Cinema Aquila. Di scena nella sezione “Eventi Speciali” è New York. Due sguardi diversi la penetrano fino a coglierne gli aspetti più poetici e quelli più degradati. Si inizia con un cortometraggio “Long for the city” (2008), ballata in Super8 di Jem Cohen che ritrae Patti Smith nella città in cui vive. La videocamera accompagna la cantante-poetessa in una passeggiata nel suo quartiere mentre descrive alla sua maniera le cose che vede. Le immagini sono state girate sul momento, alle quali si aggiunge il materiale che il regista ha accumulato negli anni. I due avevano già collaborato per il corto musicale “Spirit” realizzato nel 2007. “Long for the city” è stato mostrato per la prima volta come installazione nello spettacolo di Patti Smith “Land 250” alla Fondazione Cartier a Parigi.
(Steve Staso)
Altro sguardo su New York è quello di Steve Staso, regista che proviene dal mondo delle arti visive, già autore di lungometraggi, come “Ice Ammo Beer” (1994), e “Situation Room #2” (2004), primo capitolo di una trilogia cui fa seguito “Celluloid #1”, presentato al Tekfestival del 2008. Qui, grazie all’incontro con il regista libanese Wael Noureddine, nasce l’idea del terzo film della trilogia, “Cellar” (2009). Il film prende corpo nel quartiere di Hell’s Kitchen e lungo la 9° Avenue, dove lavorano e vivono i tre immigrati protagonisti: Wael, libanese fuggito dai bombardamenti israeliani, Luz, colombiana, fuggita da una realtà violenta e Syl di Harlem, reduce di guerra.
La scelta del cast, rivela il regista, incontrato alla fine della proiezione, è avvenuta al di fuori dell’ambiente attoriale professionista, eccetto che per Luz, una splendida e profonda Daisy Payero, artista a tutto tondo e attrice teatrale. Courtney Webster (Syl) è una film-maker. Wael Noureddine (Wael) è scrittore, poeta e regista libanese. Inoltre, ha precisato, che le location e la sceneggiatura, sono state minuziosamente curate e riprodotte sul set, dopo esser state da lui disegnate in storyboard.
Il passato dei tre protagonisti (mogli, ex mariti, figlie, amanti morte nel Camp Marlboro di Sadr City) incombe e grava sulle loro vite presenti, già asfissiate dalla crudeltà e dal cinismo di chi li circonda, dalla durezza di un’esistenza fatta solo di lavoro manuale, sempre uguale e mal retribuito. L’invisibilità sociale sembra essere una condanna. Alle cicatrici fisiche si aggiungono quelle psichiche. Ma alla fine alle singole individualità, devastate dall’incapacità di affrontare da sole questa sofferta realtà, verrà in aiuto il senso dell’amicizia e della nuova comunità cui a poco a poco iniziano ad appartenere, quella degli immigrati.
Un film toccante, intenso, a tratti commovente. Al regista va il merito della giusta scelta dei personaggi e del linguaggio filmico utilizzato mai troppo finto, anzi, così sincero e sofferto da assumere il sapore del documentario. Una storia forte, che fa accuse sociali. Un finale che porta con sé il sorriso e un barlume di speranza.
Lina Rignanese
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