martedì 12 ottobre 2010

Hook

di Emiliano Sportelli


















Crescere e diventare grandi, iniziare a preoccuparci di cose a cui prima non davamo nessuna importanza; entrare in contatto con situazioni che mai ci saremmo sognati di affrontare. Guardare fuori ed accorgersi che la nostra infanzia è ormai agli sgoccioli, che quel tempo dove ci si divertiva con poco è giunto al termine; abbandonare i nostri sogni di bambino e spingerci verso un universo a noi estraneo e senza stimoli. Il rimpianto ed il ricordo di estati passate a giocare con i nostri amici è l’unica cosa che ci rimane di quel periodo d’oro.
Un ricordo così vivo che, a volte, ha bisogno di essere stuzzicato, tirato fuori dai cassetti della nostra memoria e ritrovare la luce di un tempo. La favola di Peter Pan rimane un esempio classico per comprendere che spesso i ricordi sono molto più che semplici pensieri passati, essi diventano veri e propri trampolini di lancio per riuscire a saltare le staccionate imposte dagli adulti e poter così tornare di nuovo bambini, magari solo per un po’, per un breve momento che, però, ci fa ritornare la luce negli occhi.
Le tematiche di “Hook – Capitano Uncino” si collegano a queste idee; il “problema” del crescere e diventare grandi è una realtà che prima o poi sfiora la mente dei bambini. Diretto da una mente di bambino intrappolato in un corpo di adulto – è questa la frase che mi viene in mente pensando a Steven Spielberg ogni volta che rivedo il suo film – Hook diventa anche una metafora per capire quanto, spesso, sia lontano il mondo degli adulti da quello dei bambini.
Peter Banning (Robin Williams) incarna lo stereotipo del tipico uomo d’affari, un avvocato troppo preso dal lavoro per dare importanza ai pensieri ed ai bisogni dei suoi figli, continuando a seguire la sua carriera ed abbandonando i suoi doveri e piaceri di padre rischierà di perdere i suoi figli Jack e Maggie e non sarà poi un caso che, per riuscire a salvarli dalle grinfie del terribile Capitan Uncino – interpretato con grande maestria da un “sempreverde” Dustin Hoffman – Peter dovrà ricordare quando era solo un bambino, scavare nei suoi ricordi, spezzare le catene che lo inchiodavano ad una vita di banalità e ritrovare i suoi pensieri felici di un tempo, riuscendo così a catapultarsi di nuovo in un mondo che per troppo tempo aveva dimenticato.
Il tema del tempo che passa è poi l’altra soglia importante che il film attraversa, in un certo senso questa tematica condiziona ed influisce su tutti i personaggi principali del lavoro di Spielberg. Peter non voleva diventare grande, restare bambino e continuare a giocare era la sola cosa che lo interessava; la stessa Wendy ha accettato la sua vecchiaia a malincuore, condizionata dalla sua non più giovane età a rimanere a casa davanti al caminetto acceso, mentre Peter la invitava nuovamente a seguirlo sull’isola che non c’è. Anche per il Capitano Uncino il discorso non è diverso; la sua fobia degli orologi e la sua voglia di distruggerli, non è che un modo per cercare di fermare il tempo ed impedirgli così di continuare il suo naturale corso; fermando il tempo il Capitano vuole arrestare quindi la sua età. Sarà proprio utilizzando l’arma del “tempo che passa” che Peter riuscirà a sconfiggere Uncino durante il loro duello finale.
Diretto nel 1991, Hook – Capitano Uncino merita senz’altro un posto di primo piano nella galleria dei lavori più riusciti di Steven Spielberg, un film per tutti, mai banale e pieno fantasia.