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venerdì 9 aprile 2010
POESIA E PITTURA, RIVOLUZIONE E LIBERAZIONE
«Lui è una rockstar della poesia e della pittura» (R. Bottoms). Delle capacità poetiche e della sua importanza nell’onda travolgente della Beat Generation come figura carismatica, poeta e creatore della libreria e casa editrice “City Lights”, si sapeva. Ma del linguaggio pittorico di Lawrence Ferlinghetti si è sempre parlato e saputo meno. L’occasione per conoscere il suo tratto, il suo stile e l’intensità espressiva ci è data dalla mostra “Lawrence Ferlinghetti: 60 anni di pittura” accessibile fino al 25 aprile presso il Museo in Trastevere di Roma. La mostra presenta oltre 50 opere dell’artista, tutte provenienti dal suo studio di San Francisco, divise cronologicamente in tre sezioni e un video realizzato per l’occasione da Christina Clausen ed Elettra Carella Pignatelli, che raccontano dell’artista di New York attraverso i suoi scritti, il materiale dell’archivio di Rai Teche e quello inedito dell’archivio di Rita Bottoms (curatrice ed amica di Ferlinghetti) e di Antonio Bertoli (poeta, scrittore, uomo di teatro, performer).
Il primo quadro che s’incontra è “Deux” (1950), un’opera bicroma di matrice surrealista, dal tratto fluido, pulito e continuo raffiguranti due volti bendati, speculari e invertiti. È il periodo in cui Ferlinghetti si avvicina ai pennelli, si trova a Parigi per aver vinto una borsa di dottorato alla Sorbona e ha modo di sperimentare la sua creatività attraverso le avanguardie europee. Simbolica e di forte impatto visivo la “Immaculate Conception” (1971), opera d’assemblaggio con al centro una crocifissa Immacolata Concezione in posizione frontale, dipinta in blu, con un lucchetto sul pube. Da dietro la croce un volto di profilo, quello di Gesù, si sporge affacciandosi per controllare, dall’alto della sua posizione di condannato a morte, la realtà che nel frattempo si svolge ai suoi piedi: una realtà abbozzata con un reattore nucleare, carri armati, auto, aerei, palazzi: l’apocalisse umana e la morte-rinascita del divino.
Nelle tele degli anni ’90, si nota una maggiore padronanza tecnica ed uno stile personale. Sono gli anni in cui la critica riconosce il valore della pittura di Ferlinghetti. Si susseguono, varie, le personali: da ricordare quelle tra il 1991 e il ’93 a San Francisco, San José e al prestigioso Butler Institute of American Art; nel 1996 le sue opere vengono ospitate al Palazzo delle Esposizioni di Roma, per la sua prima italiana. Il concept artistico di questo periodo è caratterizzato da temi politici e sociali. L’attivismo politico è sempre stato prerogativa dell’ambiente beat: “solo i morti non sono impegnati”, diceva nel suo “Fantasy” (1959). Ferlinghetti tende a farsi portavoce di quell’umanità che soffre e “che abita ogni periferia del dolore” intingendo da quella compassione buddhista a lui tanto cara. In “Closing of the Fronter” (1990) e in “Provincetown” (1994-95) si affronta il tema dell’immigrazione e l’artista condanna ogni politica di chiusura: l’uno raffigura la triste verità della frontiera, l’altro la speranza, tradita, di partecipare al sogno americano. Sono, inoltre, le contraddizioni del sistema americano ad essere rappresentate nell’aspetto più crudo, violento ed angosciante, nel lavoro “This is Not a Man” (1993-94). È una tela dalla forza comunicativa dirompente, ispirata ad una foto appartenuta al fratello dell’artista, che per vent’anni è stato assistente nella camera da morte della prigione federale di Sing Sing.
La sezione dedicata ai lavori dal 2000 al 2009 ci mostra, invece, un Ferlinghetti che ritrova il senso catartico della pittura. I fatti dell’11 Settembre creano una frattura nella sua espressività, mentre nelle sue poesie non rinuncia al pacifismo radicale e critica la politica che sceglie, come soluzione, l’attacco bellico; tuttavia, la pittura coeva resta incontaminata e muove in direzione di ciò che lui stesso definisce “Fuga Lirica”: “un impulso verso la potenza della bellezza e la purezza del piacere, come strumenti naturalmente opposti all’odio, “pura” luce non macchiata dall’inquinamento, politico o ambientale”. Degni di nota, la straziante e passionale “Dechirée” (2009) o l’assurda ed esilarante “Bagno di seni” (2006).
Un artista, un intellettuale a tutto tondo, uno “zen-fool” o un “vagabondo del Dharma”, direbbe Kerouac. Un poeta che ha innalzato la poesia a rivoluzione e la pittura a liberazione: “E non dimenticate di dipingere/ tutti coloro che hanno vissuto la/ propria vita/ come portatori di luce./ Dipingete i loro occhi/ e gli occhi di ogni animale (…)/ Dipingete la luce dei loro occhi/ la luce di una risata illuminata dal sole/ la canzone degli occhi/ la canzone degli uccelli in volo”.
Lina Rignanese
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