di Emiliano Sportelli
Succede a volte di incontrare qualcuno che, pur senza conoscere, riesce ad infonderci qualcosa di profondo e toccante. Qualcuno che fa fatica ad esprimersi con le parole, ma che riesce lo stesso a comunicare attraverso le fantasie che circondano la sua anima. Scatta in noi così un desiderio di capire a fondo costui che, con tanta grazie e dolcezza, è riuscito a sfiorare la mente di chi si dichiara “il più scettico tra le persone”.
Rimaniamo esterrefatti da queste situazioni che, magari senza volerlo, ci riempiono di emozione e sentimento.
Cercare di scovare il sentimento più profondo in un animo pieno di inventiva è la chiave per riuscire a “leggere” Edward mani di forbice, fiaba gotica diretta nel 1990 da quel genio di Tim Burton che con questo film è riuscito a far sognare sia grandi che bambini. L’idea del film nasce da alcuni disegni che lo stesso Burton aveva creato immaginando un uomo con delle forbici al posto delle mani, la scelta poi di far interpretare Edward ad un Johnny Deep, mai più così a suo agio nella parte di questo sfortunato anti-eroe, è stata un’arma in più a disposizione del film.
Questa pellicola offre, a mio avviso, parecchi spunti interessanti. Il primo è senza dubbio la solitudine. Edward rimane da solo nel suo castello una volta perso il suo padre/inventore, e lo stesso accade in realtà, anche quando si trasferisce a casa di Peg. La sua amicizia con il mondo esterno risulterà essere soltanto una lama a doppio taglio per il protagonista che, abbagliato inizialmente dall’accoglienza rivoltagli dagli abitanti della cittadina, resterà alla fine nuovamente in solitudine pensando alla sua amata Kim (Winona Ryder), la sola che sarà riuscita a toccare davvero il cuore dello sfortunato protagonista.
Altro punto che il regista ha voluto sottolineare è la dicotomia dei colori: guardando il film, infatti, possiamo notare il contrasto che si crea tra: il “nero” castello decadente di Edward, con le case del paese tutte colorate e ben tenute; lo stesso Edward risulterà essere in tutto il film l’unico personaggio vestito di nero in contrasto con il resto degli abitanti.
Importante è poi capire il “senso” di Edward in quanto “diverso”. Burton in questo caso ci presenta un nuovo modo di esprimere la diversità attraverso la creatività. Edward infatti mostrerà la sua vena creativa (stravaganti acconciature o vere e proprie opere d’arte “scolpite” nella siepe) proprio grazie alla sua diversità rappresentata dalle forbici stesse.
Altro passaggio importante del film è sicuramente la neve; il regista vuole far intendere l’origine di questo straordinario fenomeno legato alla malinconia e alla solitudine di un personaggio che è riuscito ad infondere un nuovo significato alla parola tristezza.
Un film quindi tutto da scoprire ed amare, una poesia trasportata su pellicola che riesce a toccare la parte più profonda del nostro essere e che ci lascia immedesimare in Edward stesso cercando così di comprendere meglio il mondo del “diverso”.
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