mercoledì 9 giugno 2010

28 GIORNI DOPO

di Emiliano Sportelli


















La follia e la brama di potere sono peculiarità della natura umana, caratteristiche queste che accomunano l’uomo del nostro tempo e che spingono la sua mente e la sua stessa indole verso confini che, una volta varcati, risultano essere il punto di non ritorno, un baratro buio dove ormai la realtà è stata dettata.

Danny Boyle ci presenta in “28 giorni dopo” proprio questa realtà appena accennata; il film ruota attorno alla diffusione di un potente virus della rabbia che, iniettato in delle scimmie, è riuscito a diffondersi tramite contatto fisico negli esseri umani. Protagonista del film è un ragazzo: Jim (Cillian Murphy) che, svegliatosi dal coma dopo 28 giorni, scopre una Londra praticamente deserta e disabitata; da lì in avanti, comincerà la sua disperata ricerca della salvezza insieme ad altri sopravvissuti, cercando in tutti i modi di riuscire a trovare un luogo sicuro lontano dal virus.

La pellicola di Boyle ripercorre il classico “cammino” del film post-apocalittico: la diffusione del virus, il contagio di massa, l’alleanza tra i superstiti e la loro lotta per la sopravvivenza. Lo scenario presentato ci fa subito pensare ai lavori dell’eterno George A. Romero (il papà degli zombie) che, con invidiabile maestria, è riuscito a renderci partecipi di possibili universi decadenti. Chiari sono infatti i riferimenti e gli omaggi che Boyle ha voluto rendere a Romero: gli infetti che si vedono nel film, altro non sono che una sfaccettatura dei classici zombie visti in lavori quali “The night of the living dead” o “Down of the dead”.

Così come detto di Romero, anche in “28 giorni dopo” il regista ha messo lo spettatore di fronte alla possibilità di immaginare un’orribile sfaccettatura della realtà, mettendoci poi nella condizione di chiederci: “Come sarebbe il mondo se…”
Risulta poi chiaro il motivo e la causa di questa decadenza: l’uomo. Come spesso accade infatti i mali che affliggono l’essere umano altro non sono che lo specchio del proprio essere; cercare, in questo contesto, un colpevole diverso dall’uomo stesso sarebbe una ricerca vana ed inutile.

Diretto nel 2002, “28 giorni dopo” prende di mira anche la voglia di controllare, dominare e conquistare insita nel genere umano; queste sue ambizioni sono armi a doppio taglio che si ripercuotono contro e il tentativo di voler soddisfare queste assurde pretese, diventa il problema di fondo del male che l’uomo compie verso sé stesso.

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