di Emiliano Sportelli
Osservare il mondo da un diverso punto di vista può essere la chiave per imparare ad ascoltare e a credere; il crescere e il diventare adulti possono, a volte, trasformarsi in qualcosa che da bambini certo non immaginavamo. Lasciarsi trasportare da un alito di vento, che nasce da chi meno te lo aspetti, diviene il punto di partenza per scoprire cosa realmente c’è oltre l’uscio della nostra normale e monotona esistenza.
“Un ponte per Terabithia” si trasforma in questo, divenendo il nostro alito di vento e il nostro punto di partenza.
Tratto dal romanzo della scrittrice Katherine Paterson, il film risulta essere un passaggio verso il sogno, un’altalena di magia e immaginazione.
La storia racconta di Jesse, un ragazzo di 13 anni amante del disegno che cerca con tutto se stesso di impegnarsi sia a scuola che a casa, il ragazzino però è preso di mira dai suoi compagni di classe e in famiglia è poco considerato, i suoi momenti più belli sono quelli che passa a metter su carta le sue fantasie. Ma l’arrivo della sua nuova e stravagante compagna di classe, Leslie, cambierà la sua triste situazione. Leslie gli insegnerà a far “volare la sua mente”, portando il piccolo Jesse ad esplorare sentieri infiniti e luoghi fantastici. Accomunati da una fantasia ed una voglia di fare fuori dal comune, i due insieme creeranno un mondo fantastico dove potersi rifugiare, lontano dalle liti familiari e dagli scherni degli altri ragazzi di scuola.
Il regista esordiente Gabor Csupo dirige con grande intelligenza un piccolo capolavoro, il film non risulta essere la classica pellicola per ragazzi; osservando le avventure che capitano ai due protagonisti ci si immerge in uno stato di autentica e dolce follia, che ci porta a guardare le piccole cose di tutti i giorni con occhi diversi dal solito.
Il film comunica la voglia di essere, quel modo di sognare una realtà differente da quella vissuta cercando poi di realizzarla e al tempo stesso crea un legame con lo spettatore il quale, a sua volta, rimane imprigionato in un universo fanciullesco che ormai ha dimenticato.
In un certo senso un film di denuncia nei confronti dei ragazzi “tecnologici” di oggi, che forse hanno perso (o peggio ancora non hanno mai trovato) il vero senso del gioco, dove il restare chiusi in camera di fronte ad un informe videogame è ormai la sola cosa che li rende felici, ragazzi che hanno dimenticato come sognare e che per riflesso hanno dimenticato ad usare la fantasia ormai nascosta in loro da ore ed ore passata al computer.
Ritornare ad essere semplici ragazzi di un tempo che ormai non è più risulta oggi essere un po’ difficile, ma se si chiudono gli occhi e si tiene la mente ben aperta forse avremmo anche noi la possibilità di creare un piccolo mondo incantato.
“Un ponte per Terabithia” diventa così anche un mezzo per far posto ad un po’ di sana immaginazione e riaccendere, almeno per qualche ora, le luci colorate della nostra fantasia.
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