di Emiliano Sportelli
Già da mesi prima della sua uscita, Paranormal Activity aveva destato la mia curiosità. Sono un appassionato di horror, quindi il film, per lo meno guardando il trailer, sembrava abbastanza interessante; il fatto poi che era stato etichettato come “L’Esorcista dei giorni nostri” mi ha spinto ancora di più verso l’acquisto del biglietto (non capita certo tutti i giorni di rivedere una seconda Regan MacNeil);
in realtà le mie aspettative sono un po’ state deluse.
Protagonista del film è una coppia di ragazzi, Katie e Micah, che da poco ha deciso di vivere assieme. Poco dopo l’inizio della convivenza, Katie comincia a sentire strani rumori e grida; confessa così al ragazzo che già dall’età di otto anni è tormentata da un’entità paranormale. Micah decide così di posizionare una telecamera nella stanza da letto filmando in questo modo tutto ciò che accade. Si susseguono situazioni paranormali che portano Katie nell’angoscia e nello sconforto, Micah invece decide di reagire sfidando la misteriosa presenza e cercando di risolvere la situazione.
Il film, diretto dall’esordiente Oren Peli, è costato appena 15 mila dollari, cifra davvero irrisoria se paragonata ai milioni che oggi vengono spesi per fare cinema; interamente girato nella casa dello stesso regista ed ispirato a fatti accaduti allo stesso Peli quando si trasferì con la fidanzata in una nuova casa “infestata” da rumori sinistri.
Il regista non apporta nulla di nuovo a questo filone horror, nodo di tutto è l’utilizzo della telecamera a mano con l’intento di rendere lo spettatore partecipe della situazione; idee queste già sperimentate con successo nel 1999 da Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez in The Blair Witch Project, e nel 2007 dalla coppia Paco Plaza e Jaume Balaguerò con REC. Chiari rimandi a La Casa di Sam Raimi, tanto è vero che per la maggior parte del film è proprio l’abitazione dei due fidanzati il vero “mostro” con i quali i protagonisti devono confrontarsi.
Forse una particolarità di Paranormal Activity non è quella di far paura, bensì destare la curiosità dello spettatore che vuol sapere se alla fine questa presenza avrà un volto.
La dualità del film può essere colta già nella sua prima mezz’ora, la tensione che è espressa nelle scene girate di notte fa da contro altare nei confronti delle scene, forse un po’ inutili, girate di giorno. Nelle prime infatti le riprese girate in notturna e il silenzio, che spesso è “amico” della paura, mettono lo spettatore di fronte ad un’angoscia palpabile; nelle seconde, invece, tutto questo è assente e la tensione lascia spazio alla banalità trasformando l’horror in una semplice commedia.
C’è da dire che, nonostante tutto, il lavoro di Peli ha sbancato i botteghini (40 milioni di dollari nel primo week-end) anche grazie al “rumore” mediale che ne è derivato. Negli USA il film è stato siglato dalla R di Restricted, ossia concessa la visione ai minorenni se accompagnati. Lo stesso Spielberg è intervenuto consigliando al giovane Peli di girare un finale alternativo, proprio perché, a detta del regista americano, l’originale era un po’ troppo crudo anche per lui.
In Italia si sono addirittura verificati attacchi d’ansia e di panico. Questo ha causato l’insorgere delle associazioni per la tutela dei minori che hanno chiesto di vietarne la visione ai minori di 18 anni.
Andate al cinema a vedere Paranormal Activity, ma state tranquilli non perderete il sonno come dice la pubblicità, al massimo vi chiederete perché nessuno mai accenda la luce quando c’è qualcosa che lo terrorizza.
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