di Lina Rignanese
Sarà in mostra fino al 28 febbraio presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma la retrospettiva “Sandro Chia. Della pittura, popolare e nobilissima arte”, a cura di Achille Bonito Oliva. Si tratta della prima grande antologica dell’artista in Italia, nonché sua più importante retrospettiva dopo quella del 1992 alla Nationalgallerie di Berlino. L’esposizione comprende 61 opere, 56 dipinti e 5 sculture in bronzo, tutte provenienti da collezioni private e da amici, che ripercorrono le principali tappe pittoriche di Chia: dagli esordi nel 1971, al successo della Transavanguardia negli Ottanta, all’affermazione in campo internazionale dai Novanta ad oggi. Il libro che accompagna la mostra, edito da Flash Art edizioni, è articolato come un dialogo fra Sandro Chia e Achille Bonito Oliva e fra l'artista e un visitatore immaginario, impersonato dalla soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli, che lo interroga sulle sue opere.
Le opere sono sistemate in quattro sezioni: “Figure Ansiose”, “Figure Titaniche”, “Figurabile” e “Figure d’Arte”. La “Figurazione” è parte fondamentale della ricerca artistica di Chia, che, pur esplorando vari campi, dalla scultura al video ai mosaici, declina proprio alla pittura il ruolo di “avanguardia” artistica e necessaria forma narrativa. D’altro canto, era la pittura la protagonista della “Transavanguardia”, movimento teorizzato da Achille Bonito Oliva in cui era attivo Chia (oltre a Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicole De Maria e Mimmo Paladino) e che, discostandosi dal materialismo e dalle eccessive sperimentazioni dei Concettualismi, recuperava l’arte del passato facendola rivivere con l’atto creativo della contemporaneità fino a giungere a traguardi inediti ed inesplorati.
Nell’arte di Chia, se le tele dialogano con lo spettatore attraverso un’ingenua ironia, spesso poetica o filosofica, le didascalie lo accompagnano verso il ludico viaggio mentale dell’artista. Così, possiamo leggere il quadro “Dichiarazione poetica” (1983): “Le mie figure sono simili a certi personaggi temerari pronti ad immolarsi preferibilmente a sostegno di cause ed ideali futili ed improbabili. Più è futile l’ideale più altisonante è il gesto.” Oppure capire quel che si cela ne “La Bugia”, (1980): “La luce è un oggetto vortice che macchia, un oggetto spirale che taglia. La luce qui fa tutto meno che illuminare”. E non deve sorprenderci se un neo-nato riesce ad emettere con un vagito il nome della propria famiglia (Chia, ndr), “strano,” – dice Sandro Chia - “come poteva sapere? Ma vero, è realmente accaduto”, poiché, “la vita entra in noi ed esce da noi con un alito, un’invisibile spostamento d’aria. Viviamo in una bolla? “Ego” è il nome della nostra bolla? Scoprire l’Ego è rendersi conto della trionfante fragilità che contraddistingue il nostro essere al mondo”. Altre volte, le pennellate si fanno “ricorrenti, rassicuranti, sempre le stesse”, oppure si gioca con l’effetto ottico, così, tre balene possono essere dipinte come fossero tre sardine su un cartoccio. In “Collision, Derision, Precision” (2002) le forme sulla tela indicano “una certa predisposizione all’umorismo”. E se l’umorismo “è la prova che si è in armonia con se stessi o in disarmonia, ma ancora in controllo dei propri mezzi.” L’ironia invece, “è una tecnica distruttiva, basata sulla dissimulazione e l’inganno, e va praticata solo in caso di estrema necessità”.
Dunque, una mostra importante e leggera, da percorrere saltellando tra le tele con un sorriso sulle labbra ed un bicchiere di Brunello (peraltro prodotto a Montalcino dallo stesso Chia) in mano.
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