giovedì 26 maggio 2011

LIE TO ME









La menzogna è parte dell’uomo; nel bene e nel male fa da cornice alla nostra vita, ci porta ad affrontare situazioni non desiderate, a compiere azioni proibite. Volute o non volute, tali azioni, vengono eseguite proprio perché sappiamo mentire, forse ci consola il fatto che c’è sempre una via di scampo da queste situazioni e, magari apparirà un po’ strano, ma la fuga è proprio rappresentata dalla bugia. La bugia detta a fin di bene, quella detta per nascondere un tradimento, un furto, un omicidio… tutto questo, ed altro ancora, è umano.
La serie televisiva “Lie to me” si basa proprio su questo pregio/difetto dell’uomo e lo fa mettendo in scena i casi più disparati; le situazioni più diverse, sia singolari che comuni, sono all’ordine del giorno per il Lightman Group e il cercare di smascherare il falso diventa la loro sfida maggiore.
“Lie to me” riesce a conciliare i tratti caratteristici di un vero e proprio thriller psicologico; ogni episodio è infatti incentrato su situazioni che hanno a che vedere con la giustizia: tentati omicidi, violenze o minacce di ogni genere sono le sfide affrontate dal gruppo Lightman, ma non è solo questo; importanti, infatti, diventano i piccoli drammi quotidiani, quelli più comuni come tradimenti o litigi. È proprio in contesti del genere che la “scienza dei gesti e dei segni” riesce a dare il meglio di sé. Tutto quello che può apparire superfluo e passare inosservato agli occhi dei “comuni mortali”, non sfugge invece agli addetti ai lavori: la postura delle mani, il cambiamento del tono della voce o una semplice contrazione dei muscoli del viso diventano segni inequivocabili che portano allo smascheramento del colpevole.
Molto originale e ben studiata è inoltre la scelta di paragonare, attraverso brevi fotogrammi, i casi presenti in ogni puntata con quelli della vita reale: presidenti, sportivi o personaggi dello spettacolo, fotografati mentre “ammettevano” con il linguaggio del corpo un tradimento o una truffa, rendono ancor più chiara ed interessante, per lo spettatore, le teorie esposte in ogni singola puntata.
È probabilmente da questo ultimo tratto che la serie tv riesce a stabilire uno stretto legame con il pubblico a casa, legame che porta ad immedesimarci con lo scienziato Cal LIghtman e con la sua “voglia” di smascherare i bugiardi. Iniziando, così, a fare maggiore attenzione alle persone che ci circondano, cerchiamo di scoprire ogni minimo gesto o micro-espressione che ci riveli una menzogna o un qualsiasi sentimento umano.
E poi ovviamente c’è il cast: nonostante la dottoressa Gillian Foster e i due assistenti Eli Locker e Ria Torres siano ben interpretati rispettivamente da Kelli Williams, Brendan Hines e Monica Raymund, i loro personaggi vengono, a volte, oscurati dal vero e solo protagonista Tim Roth. Il camaleontico attore inglese dà prova di grande duttilità artistica; riesce a calarsi alla perfezione nelle panni dell’eccentrico e pieno di sé Cal Lightman, mettendo in mostra un personaggio sempre sopra le righe, senza peli sulla lingua e che guarda tutti dall’alto verso il basso. Ma Tim Roth non è certo una nuova scoperta; già nel film “Four Rooms” (solo per citarne un titolo) l’attore era riuscito ad inscenare, con enormi capacità, un lunatico fattorino alle prese con quattro diverse situazioni paradossali, compito questo molto arduo se pensiamo al fatto che l’ultimo dei quattro episodi vede come regista Tarantino.
Una serie quindi di alto livello e caldamente consigliata, che unisce l’ottima sceneggiatura di Samuel Baum con un’idea finalmente originale ed un cast di tutto rispetto.

Emiliano Sportelli

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