venerdì 21 gennaio 2011

LA QUALUNQUE SATIRA

Era dai tempi del ragioner Fantozzi che il cinema italiano non si colorava di una maschera così spietatamente italiana. Cetto La Qualunque, creatura del siculo-lombardo Antonio Albanese e dello sceneggiatore Piero Guerrera, nasce nella Tv della Gialappa’s Band, poi ripresa a ‘Che tempo che fa’. Dal piccolo schermo al cinema il passo è stato breve (e necessario). Esce, così, nelle sale italiane dal 21 gennaio “Qualunquemente”, regia di Giulio Manfredonia.
Cetto La Qualunque torna in Italia dopo una lunga latitanza all’estero, nel frattempo si è rifatto una nuova famiglia, che nel ritorno a casa si incontra/scontra con la moglie Carmen e il figlio Melo. I vecchi amici lo informano che le sue proprietà (rigorosamente abusive) sono minacciate da un’ondata di legalità che dilaga nella cittadina. Le vicine elezioni potrebbero avere come esito la nomina a sindaco di Giovanni De Santis, la faccia pulita della politica. Così, per salvaguardare gli interessi propri e quelli degli amici, a Cetto non rimane che scendere in politica. La campagna elettorale si fa dura…
Cetto incarna alcuni atteggiamenti di certa Italia (non solo meridionale, ovviamente). Un personaggio arrogante, incivile, maschilista, misogino, indifferente, egoista, attaccato ai propri interessi e alla propria famiglia (anche se ne ha due, oltre alle tante scappatelle con escort, pardon… prostitute), ignorante, ipocrita, fanfarone, superbo, corrotto, ricattabile, amante dei soldi e “dellu pilu”.
Fondamentale la costruzione filmica del “mondo di Cetto”: l’uso dei colori a tinte forti e definite, l’esagerazione delle acconciature, l’estremizzazione dei comportamenti di tutti i personaggi, danno al film quel tocco cartoonistico e fumettistico di astrazione e al tempo stesso di iper-realismo. Un mondo che rimanda agli eccessi, all’opulenza e all’estrema volgarità da liberto arricchito, come un moderno Trimalcione. E se nella villa del ex-liberto strabordava cibo nella danza bulimica delle portate e dei servi, nella villa calabra, invece, ci s’ingrassa nella “bulimia dell’avere”, dai più disparati oggetti trash, alle donne che diventano “cose”, agli amici super-interessati.


Confessa Albanese: “Cetto ci ha dato (ad Albanese e a Guerrera, lo sceneggiatore, nd) il grande privilegio di ridicolizzare comportamenti e modelli, che per molti saranno furbeschi e vincenti, ma per noi sono solo ignoranti e patetici”. Ridicolizzare il potere marcio e becero attraverso la leggerezza della comicità: questo intento riesce alla perfezione.
Ci si ritrova a sorridere, a ridere, ma amaramente, dinanzi a una storia e a un personaggio in cui ci imbattiamo quotidianamente nelle cronache dei giornali e nella vita reale. Così, quelle che sono delle riuscitissime battute comiche, come “Vedi come sei maschio senza casco!”, oppure “Non sono le donne che devono entrare in politica, ma la politica che deve entrare nelle donne”, rivelano un pensiero subdolo e viscido che poi così estraneo nella nostra Italietta non è.

Lina Rignanese

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