di Emiliano Sportelli
Dimenticate il “Nosferatu” di Murnau o il “Dracula di Bram Stoker” di Coppola perché, nella serie televisiva “True Blood”, il mito del vampiro dannato e maledetto viene sfatato, al suo posto emerge la figura di un “nuovo” non-morto che ormai fa parte della società e ad essa si adatta.
Creata nel 2008 dal sorprendente Alan Ball, che già qualche anno fa ci aveva mostrato i problemi di una famiglia che gestisce un’impresa di onoranze funebri con la serie “Six Feet Under”, True Blood - basato sulla saga Southern Vampire della scrittrice Charlaine Harris - racconta una nuova realtà della società americana dove i vampiri sono usciti allo scoperto e reclamano eguali diritti così come gli esseri umani. L’intera serie è incentrata sui nuovi e difficili rapporti che si creano tra umani e vampiri; tra i primi c’è ovviamente molta paura e diffidenza, per i secondi, invece, l’essere umano resta una razza inferiore vista spesso come fonte di nutrimento.
La figura del vampiro che ci viene presentata, anche se come già detto si discosta dal classico mito, continua comunque ad avere alcune tipiche caratteristiche che la contraddistinguono come: il classico “morso” sul collo o l’impossibilità di uscire durante il giorno; a queste si aggiunge poi qualcosa di nuovo ed atipico: i vampiri si nutrono di una specie di sangue artificiale in libero commercio e appositamente imbottigliato: il true blood appunto.
In questo scenario si sviluppa la storia d’amore tra la giovane Sookie, una cameriera telepata, e il tenebroso Bill, un vampiro centenario, ma non solo; in “True Blood” sembra quasi che tutti i personaggi presenti abbiano una storia da raccontare in cui loro sembrano essere i soli ed unici protagonisti. Non solo umani e vampiri, ma anche mutaforma, licantropi e menadi arricchiscono uno scenario già di per sé abbastanza complesso; la serie si trasforma così in un teatro di violenze ed orrori in cui spesso però, sono gli esseri umani i veri cattivi.
Questo ultimo passaggio fa da cornice all’intero serial televisivo; il problema di chi sia davvero malvagio, la dicotomia umano/vampiro, così come quella alba/tramonto rendono il tutto un vero e proprio gioco delle parti dove, a volte, ci si affida al caso per riuscire a scoprire chi realmente si nasconda dietro ciascun personaggio.
Risulta chiaro così che in “True Blood” nessuno è davvero quello che sembra e nessuno è realmente normale; tutti hanno qualche segreto da custodire e qualche capacità da nascondere che li rende diversi dagli altri, sia che si tratti di un potere mentale o di due canini che spuntano nella notte.
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