martedì 6 luglio 2010

ROMA PRIDE 2010














Un Gay Pride non certo dei migliori. Ad un anno dall’Euro Pride 2011 che si svolgerà proprio a Roma, le realtà nostrane del movimento lgbt stanno vivendo un momento di rottura. Non solo di tipo organizzativo, ma anche e soprattutto politico.
Quest’anno il gruppone di associazioni, che hanno quasi sempre gestito il pride, hanno deciso di prendere le distanze da quello che è rimasto un risicato Comitato organizzativo, ovvero Di’Gay Project , Arcigay Roma, Gaylib Roma (di centrodestra) e Azione trans. Quest’ultime hanno adottato il punto di vista della trasversalità: cercare punti d’appoggio a destra, per tralasciare le estremità della sinistra, più vicine alle lotte di gay, lesbiche e trans.
Così, nel canicolare pomeriggio romano del 3 luglio si parte con un’imponente assenza. Si parte, però, è questo è l’importante. Da Piramide Cestia, luogo di scontri durante la seconda guerra mondiale, dove i rappresentanti delle associazioni hanno depositato una corona di fiori al monumento ai caduti delle vittime del nazifascismo a Porta San Paolo, in memoria di tutte le vittime dell’omofobia, della transfobia e della violenza. Poi il bacio collettivo, perché “Ogni bacio è una rivoluzione” – questo lo slogan di quest’anno.
Secondo gli organizzatori si era in centomila, per la questura circa la metà. In tanti i trans e le trans, quest’ultime quasi tutte normalmente vestite a dispetto delle notizie di cronaca e dei festini a base di sesso, droga e politici. Tante anche le coppie di gay e lesbiche ultra cinquantenni. Tanti i bambini, figli di famiglie non riconosciute dallo Stato italiano. Tanti anche gli etero “gay friendly”.
La musica, i colori, la festa, le coppie che si baciano o camminano mano nella mano, i cartelloni, gli slogan (la sarcastica “Ero etero ma sono guarita”, la dissidente “Chiudere il Vaticano, la Guantanamo mentale”, l’irriverente “Né Stato né Dio sul corpo mio!”), la gente che balla, rendono il pride, come al solito, molto piacevole e divertente.
È una festa, e non si dovrebbe troppo reclamizzarlo, o averne paura.
Tanti, infatti, i gay, le lesbiche o gli etero che mal tollerano questa giornata. Si vergognano di essere associati a questo marasma di colori e corpi danzanti, prendendone le distanze anche in maniera un po’ snob. Tra le motivazioni addotte, vi è la totale mancanza di senso di dover manifestare. “Non ce n’è bisogno” – dicono – “è una forma di auto-discriminazione, di auto-ghettizzazione”. “Gli etero” – continuano – “non hanno mica bisogno di scendere in piazza per il loro ‘orgoglio’ ”.
Il problema, però, è proprio questo. Come possono i gay, le lesbiche e soprattutto i trans compararsi agli etero, se non si ha nemmeno il diritto di essere riconosciuti come coppia, di mettere su famiglia, di sposarsi, se si deve temere di sbilanciarsi sul posto di lavoro, se non esiste una legge che li tuteli a pieno? Questa non è normalità. Se lo fosse, non ci sarebbe bisogno di scendere in piazza o di dichiararsi con uno stupido “coming out” o di urlare chissà che. E invece, c’è ancora tanto da lottare, tanto da chiedere e tanto da fare per aprire gli occhi, le menti e i cuori degli italiani.
E se esiste il Pride ovunque (nel mondo occidentale), anche in realtà più emancipate delle nostre, allora ci si deve chiedere se non è poi così sbagliato festeggiare il proprio “orgoglio gay”.
Nella stessa giornata, infatti, si sono svolti i cortei anche in altre capitali europee, come Madrid o Londra. Nella capitale inglese, a sfilare erano 1 milione circa (contro il nostro modesto 100 mila!), e tra questi vi era anche un carro dell’Nhs, il servizio sanitario nazionale (l’equivalente delle nostre Asl), per il personale gay. A seguire, il carro dell’Home Office, il ministero degli Interni, assieme alla polizia in divisa ballava una delegazione dei Tory con uno striscione “I’m Tory and I’m Proud”.
Non è che proprio vorremmo di colpo compararci con la società e la politica “gay friendly” dei britannici, ma almeno vedere uno spiraglio di luce dai palazzi del potere nostrani: il riconoscimento dei matrimoni civili tra gay e la possibilità di adottare bambini; una legge contro l'omofobia e la transfobia; la lotta a tutte le discriminazioni anche attraverso l'informazione nelle scuole; la tutela della salute. “Quello che ci manca in Italia - ha spiegato il presidente di Arcigay Roma - è la possibilità di vivere con naturalezza e tranquillità la nostra affettività, tant’é che solo a Roma diverse persone sono state aggredite solo perché si stavano baciando in pubblico”.
Aspettando una società etero più aperta, emancipata e meno ipocrita, si ricordano (e si sognano) i locali di Soho (locali gay dove incontri anche le famiglie etero con bambini, dove si fanno concerti, dove non si ha la sensazione di rifugiarsi in un ghetto) e la quasi normalità di vita per le strade di Londra.

Lina Rignanese

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