lunedì 6 giugno 2011

STONEWALL UPRISING










DAL QUEERING ROMA - FESTIVAL DI CINEMA LGBT (3-5 GIUGNO 2011)

La notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 ci fu l’ennesima irruzione della polizia nel Greenwich Village (New York City), in particolare nello storico locale gay ‘Stonewall Inn’. L’episodio fu la scintilla che portò la comunità di gay, lesbiche e trans a prendere in mano le proprie vite e, con determinazione, scendere in piazza alla luce del sole per rivendicare i propri diritti di persone libere e uguali a tutti gli altri.
Il documentario di Kate Davis e David Heilbroner è un lavoro prezioso per raccolta di materiale di repertorio. Numerose le foto private dei protagonisti di quelle storie; memorabili, quanto brutali, i video delle campagne omofobe trasmesse dai media.
Raccontato attraverso le voci dei protagonisti, i frequentatori del bar, quelle di un giornalista del ‘Village Voice’ (giornale del quartiere) che quella notte assistette alla rivolta, e di un ex poliziotto che varie volte aveva preso parte alle retate contro i gay.
Il lavoro è strutturato come un’inchiesta, con un montaggio che ricostruisce accuratamente il prima, il durante e il dopo Stonewall.
Erano gli anni Sessanta e l’omosessualità era considerata una malattia mentale: migliaia furono i ricoverati negli istituti d’igiene mentale e sottoposti a sterilizzazione, castrazione, elettroshock, lobotomia. L’istituto di Atascadero (California) era considerato la Dachau dei queer (termine dispregiativo per dire “invertiti”).
In un contesto di repressione, di “proibizionismo gay”, le difficoltà per gli omosessuali di vivere e d’incontrarsi erano numerose: nessuno, se non la mafia, voleva aprire bar dichiaratamente gay per timore che la polizia potesse far chiudere l’esercizio. I luoghi, dunque, scarseggiavano e molti uomini “prendevano in prestito” i camion che di giorno trasportavano carne da macello: “dentro quei luoghi angusti, sporchi, puzzolenti e sovraffollati, i gay s’incontravano per fare sesso” – racconta uno degli intervistati. E anche lì i blitz erano frequenti e violenti.


La polizia, pagata dalla mafia, “di solito faceva le sue retate in settimana, nelle prime ore della sera, quando i bar erano quasi vuoti”, invece quella sera di giugno, colpirono alle due di un sabato notte, quando lo Stonewall era colmo. Quella volta, però, le cose andarono diversamente: i poliziotti furono circondati da una massa di persone inferocite, esasperate, pronte a tutto. Per la prima volta, “la polizia ebbe paura” – si sente in un’intervista, e così anche la società americana dovette abbassare i toni dello scontro, perché ad alzare la voce, finalmente, erano le migliaia di gay, lesbiche e trans portati allo stremo dell’umana sopportazione.
I giorni seguenti, gli animi erano in fibrillazione, furono ciclostilati numerosi volantini, si mise in moto un movimento che contagiò anche gli abitanti del quartiere fino alla parata storica, che portò per le strade di New York migliaia di persone. Una massa colorata di persone che dichiaravano il proprio orgoglio omosessuale e chiedevano pari dignità e pari diritti. Finalmente “ci si rese conto che eravamo un movimento folto e determinato”, non solo di attivisti o di omosessuali che socialmente non avevano nulla perdere, ma anche i gay benestanti, i borghesi, quelli che socialmente occupavano i vertici, scesero per strada a metterci la faccia: fu questo il primo Gay Pride della storia.
La rivolta di Stonewall fu “la Rosa Parks dei gay”, rappresentò l’inizio della fine dell’esistenza “crepuscolare” (gli omosessuali in gergo erano chiamati “twilight people”) e stigmatizzata dei gay negli Stati Uniti d’America.

Lina Rignanese

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