martedì 7 giugno 2011

ANGELS ON DEATH ROW - (Il caso di Ebrahim Hamidi)















Un documentario angosciante, che lascia lo spettatore indignato e senza parole dinanzi alle barbarie perpetrate dal regime di Mahmud Ahmadinejad contro gli omosessuali. Il lavoro di Alessandro Golinelli e Rocco Bernini è stato presentato al Queering Roma Festival di Cinema Lgbt.
Durante un incontro presso la Columbia University di New York, il presidente iraniano aveva ammesso lapidario: “In Iran non ci sono gay”. Una frase tanto offensiva, quanto rivoltante nei confronti delle persone omosessuali. Se l’omosessualità viene punita con la morte per lapidazione o impiccagione, la transessualità è, altresì, incoraggiata dal regime. Il cambio di sesso è, infatti legale e favorito, in modo che dinanzi alla legge venga ristabilita una situazione di “normalità”, quindi di eterosessualità. Il codice, peraltro, non prevede sconti per i minorenni, come nel caso di Ebrahim Hamidi, il sedicenne, all’epoca dei fatti (2008), accusato di aver usato violenza sessuale, insieme ad altri tre ragazzi, su un uomo adulto; i tre hanno in seguito testimoniato contro Ebrahim, salvandosi dal carcere, ma condannando, a tutti gli effetti, l’imputato: la legge afferma che la pena capitale viene applicata nel caso in cui si arriva alla quarta denuncia per il reato di “sodomia”. La Corte suprema ha respinto la sentenza della Corte provinciale dell'Azerbaijan orientale (il luogo in cui il ragazzo è stato arrestato) e ha ordinato un riesame del caso, ma sembra che la corte provinciale voglia comunque procedere con l'esecuzione della condanna a morte. A parlare del processo è l’ex-avvocato di Ebrahim, Mohammad Moustafei, difensore anche del caso internazionale di Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata alla lapidazione con l’accusa di adulterio (tuttora la sentenza è stata sospesa). Oggi, sia Ebrahim che Sakineh, sono senza un difensore, Moustafei, infatti, è stato costretto a lasciare il Paese e a vivere in esilio.
Sulla questione in Iran parlano anche un giovane omosessuale iraniano, Drewery Dyke, il responsabile dell’Iran per Amnesty International e Peter Tatchell, britannico attivista gay.
Raccapriccianti e sconvolgenti le immagini raccolte dal web e girate con i telefonini, che mostrano scene di lapidazione, torture nel braccio della morte, impiccagioni e varie efferatezze da parte dei poliziotti. Tanta l’amarezza espressa dal ragazzo iraniano intervistato, infatti, se le elezioni presidenziali del 2009 e tacciate di brogli, fossero state vinte dal candidato dei moderati Mir Hossein Moussawi, probabilmente, la situazione per i gay iraniani sarebbe stata più distesa e l’omosessualità più tollerata.

Lina Rignanese

Nessun commento:

Posta un commento