sabato 30 aprile 2011

PISTOLETTO, 'DA UNO A MOLTI' @MAXXI (fino al 15/08/2011)















La mostra su Michelangelo Pistoletto ‘Da uno a molti’, ospitata nel moderno scenario del Maxxi a Roma, ci porta a ripercorrere la ricerca artistica del biellese. Ricerca che riflette sull’unità e sul molteplice, sulla possibilità, attraverso l’opera, di creare un’azione collettiva. Il bisogno di partecipazione e collaborazione permeano lo spirito di Pistoletto, così come quegli anni Sessanta, caratterizzati nel sociale dalle moltitudini in piazza e in ambito espressivo dalle azioni performative, che tendevano a raggruppare varie forme artistiche, dal teatro alla musica, dalla fotografia alla scultura, alla pittura. Il lavoro dell'artista, vario eppur unitario, è la risposta, dunque, a una tensione costante tra artista e società, tra opera d’arte e spettatore, tra arte e vita.
Le prime opere risalgono alla fine degli anni Cinquanta e sono per lo più autoritratti. Influenzato profondamente da Francis Bacon, del quale assorbe lo studio sull’impersonalità, sull’isolamento delle figure rappresentate, difatti, spersonalizza le loro caratteristiche e neutralizza lo sfondo, usando stesure di colore pieno. Dinanzi a questi sfondi così verniciati, così pieni, l’artista ricerca la propria ombra riflessa, come nell’opera ‘Esperimento’ (1959), una tela che irrompe nello spazio e si appropria di alcuni oggetti, come corde o pezzi di legno.


L’idea dell’immagine riflessa diventa la sua ricerca, culminata nella serie dei ‘Quadri Specchianti’, iniziati nel 1962. Realizzati con lastre di acciaio inox lucidate a specchio, queste opere proiettano verso l’esterno la forza dell’artista e al contempo riflettono lo spazio circostante e gli spettatori stessi. Per le figure rappresentate, utilizza la professionalità del fotografo Paolo Bressano. Le foto ingrandite, quasi a scala reale, vengono poi tratteggiati su carta velina e dipinti a mano in modo dettagliato. Ritagliando ogni persona e ogni particolare, Pistoletto ricompone le immagini in dialoghi narrativi e poi incollati sui pannelli di acciaio lustrati a specchio. Con questa tecnica egli intreccia, così, fotografia, disegno e pittura.
La trasparenza del supporto affievolisce la portata scultorea degli oggetti ed implica anche una relazione diretta con lo spazio tridimensionale: ad esempio nell’opera ‘Tavolino con disco e giornale’ si vorrà esprimere più l’idea del tavolo che non la sua raffigurazione. Dirà l’autore: “Una ‘cosa’ non è arte, l’idea espressa della stessa ‘cosa’ può esserlo” - siamo nel decennio che precede l’arte propriamente concettuale.
Dal 1971, Pistoletto passerà alla serigrafia e si allontanerà sempre più dalla pittura, virando verso la fotografia, collaborerà con Paolo Mussat Sartor, e poi con Paolo Pellion di Persano. Questa svolta lo porterà a riconsiderare i suoi ‘Quadri’: nella composizione lo spettatore assume sempre più il ruolo di ‘testimone’, complice, vittima o prigioniero di una realtà violenta, come in ‘Cappio’ o ‘L’Uomo che spara’, entrambi del 1973, un’eco agli Anni di Piombo.


A guidare la ricerca della serie ‘Luci e riflessi’ sarà l’idea di cambiamento e contingenza attraverso i riflessi generati dal mylar, dalle luci tremolanti di candele e da lampadine appese.
Qualche passo più in là e si arriva allo spazio dedicato agli ‘Oggetti in meno’, serie nata tra il ’65 e il ’66. In questo periodo negli USA imperava l’estetica del Minimalismo, dal quale Pistoletto prenderà subito le distanze, rifiutando l’idea stessa di ripetitività dell’atto creativo. A riguardo, l’autore dichiarava: “Non sono costruzioni ma liberazioni – io non li considero oggetti in più ma oggetti in meno”. La libertà creativa espressa da questi oggetti anticipano lo spirito di quel movimento che sarebbe emerso nel 1967 come Arte Povera. Spesso associata a un’arte composta di ‘oggetti semplici’, nasce, però, con un evidente riferimento al Teatro Povero di avanguardia del polacco Jerzy Grotowski.


E proprio in questa corrente estetica ci si imbatte nella galleria dedicata alla sezione ‘Stracci’. Questi stracci, precedentemente usati per lucidare i ‘Quadri Specchianti’, superano ora la loro funzione originaria e diventano essi stessi oggetti d’arte. Stracci utilizzati in diversi modi: dalla barricata di mattoni del ‘Muretto di stracci’ e del ‘Monumentino’ (installazioni e interventi architettonici allo stesso tempo), all’ ‘Orchestra di Stracci – Quartetto’, composta da bollitori che si inseriscono a intermittenza nello spazio con i loro fischi. Infine, l’iconica ‘Venere degli Stracci’, diventata il simbolo stesso dell’Arte Povera. La Venere di marmo bianco, posizionata di spalle, dinanzi a un cumulo di stracci, rivela il senso stesso della dialettica ricerca dell’artista: visione statica e dinamica, bellezza classicheggiante e uso ‘informale’ dei materiali, individualità della figura e molteplicità.
L’ultimo capitolo della mostra è dedicata all’esperienza performativa con ‘Lo Zoo’, il nome nasce dalla voglia di uscire dalla gabbia sociale e limitante per una mente creativa, impegnandosi sia in performance organizzate, che in azioni estemporanee in teatri, gallerie d’arte e in strada.


Un’arte bella, trasandata e ribelle, quella emersa in questo viaggio nel mondo artistico di una delle figure che più ci invidiano all’estero.

Lina Rignanese

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