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Caratteristica tipica del film, che poi diventa la sua arma più efficace e meglio riuscita, è sicuramente l’incertezza; i mille punti interrogativi che fa nascere nello spettatore diventano allo stesso tempo il suo punto di forza: capire il perché di questo viaggio, perché si è arrivati a questo punto, perché continuare ad andare avanti? Sono questi le domande che ci poniamo guardando il film e che non trovano tutti una risposta alla fine; i dubbi e le incomprensioni finali restano infatti, ma il bello è anche questo.
In un’America dove la catastrofe, la desolazione e la paura di vivere diventano lo specchio del mondo, dove gli alberi cadono ormai morti sul terreno e il grigiore del cielo e della terra tutta è l’unico colore riconoscibile ed anche l’umanità è ridotta a zero; gli ultimi uomini rimasti hanno infatti perso anche le piccole briciole della loro coscienza. Si lotta per sopravvivere e l’istinto di sopravvivenza delle persone le ha trasformato in bestie portandole così a cibarsi dei propri simili per riuscire a vivere; chi invece rinuncia al cannibalismo decide, senza scrupoli o ripensamenti di togliersi la vita. Homo homini lupus. Come si è arrivati a tutto questo sarà un mistero che accompagnerà lo spettatore per tutta la durata del film.
È proprio in quest’aria di sofferenza, di follia mista a dolore che comincia il viaggio di un uomo insieme a suo figlio – dei due non sapremo mai i nomi, fatto questo che sta quasi ad indicare una perdita di personalità – alla ricerca di un luogo più sicuro e meno ostile per vivere. Il loro cammino non sarà inteso soltanto come un tentativo di fuga dalle difficoltà e dalle atrocità del mondo che purtroppo sono costretti ad abitare, ma porterà i due a confrontarsi anche con loro stessi; chi davvero essi siano e quanta umanità li è rimasta dentro diverranno interrogativi che, nel bene o nel male, riempiranno le menti dei due viaggiatori. A tal proposito, diventa significativa la scena in cui il padre abbandona nudo e senza cibo un viandante, condannandolo a morte certa, decisione questa non condivisa dal figlio che ha ancora un cuore “umano” che gli batte dentro; la speranza sembra, infatti, non aver ancora lasciato il piccolo; al contrario l’uomo cerca soltanto di mantenere in vita più possibile sia lui che il figlio non curandosi di altro né di altri. Questo confronto, o se vogliamo questa diversa visione delle cose sarà presente per tutto il film, facendo anche immedesimare lo spettatore nei due pellegrini: cosa avrei fatto io se fossi stato nei loro panni?
Lo stesso finale lascia alcuni dubbi che, come già detto, rendono il film ancor più grande: infatti, alla sorte ormai certa del padre si accompagna l’incerto futuro del figlio (Kodi Smit-McPhee) recuperato su una spiaggia da un uomo ed una donna pieni di buone intenzioni, ma con altri due figli da sfamare…
L’ottima fotografia di Javier Aguirresarobe rende ancor più soffocante e crudo il mondo nel quale si è giunti. Viggo Mortensen riesce a dare il meglio di sé nei panni di un padre e di un uomo, tirando fuori tutta la durezza possibile del suo volto ormai segnato dalla fame e dal freddo e senza lasciar trasparire sorrisi e dolci sguardi appartenenti ad un remoto passato che purtroppo non ha ancora dimenticato.
Emiliano Sportelli
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