mercoledì 13 gennaio 2010

“J’accuse!...”


di Lina Rignanese

Il 13 gennaio 1898, Emile Zola pubblicò, sul quotidiano socialista francese “L’Aurore”, uno dei testi più importanti per la storia moderna e contemporanea. Scrisse il “J’Accuse…!”, una lettera aperta all’allora Presidente francese, Félix Faure, in difesa di Alfred Dreyfus, l’ufficiale francese vittima di uno degli scandali politico-giudiziari più ingarbugliati. La sua vicenda, l’affaire, nata nel 1894, si sciolse in 12 anni, passati in isolamento e sotto stretta sorveglianza sull’isola di Caienna, nella Guyana Francese, la cosiddetta “Isola del diavolo”.

Fu propri questo testo a scuotere le coscienze di politici militari intellettuali ed una parte dell’opinione pubblica. Fu in questo pamphlet che Zola fece i nomi e cognomi dei politici e militari coinvolti nella terribile macchinazione di una vicenda losca che necessitava di un capro espiatorio per salvaguardare qualche alto grado dello stato maggiore, e lo trovarono, per l’appunto, nel giovane ebreo-alsaziano, Dreyfus.

Quelli erano gli anni in cui la Francia, isolata politicamente, covava in sé il germe dell’antisemitismo, infatti nel 1886 era apparso il libro antisemita di E. Dumont, “La France juive”, che con la sua equazione “ebreo=traditore per definizione”, ebbe un vasto successo. Nei primi anni 90, si era radicalizzato il nazionalismo, in chiave aggressiva, nei confronti dei lavoratori stranieri immigrati (in particolar modo verso gli italiani, numerosi nella Francia meridionale; sanguinosi furono gli episodi di Aigues-Mortes nel 1893 e quello di Lione nel ‘94).

Erano gli anni in cui il concetto di “democrazia” si andava formando e con esso anche quello di “diritti umani” e, per di più, emerse con veemenza il potere della stampa, il “quarto potere”, capace di influenzare e creare l’opinione pubblica. L’affaire Dreyfus fu la prima battaglia politica condotta attraverso i mass-media, e rappresentò la prima volta che un intellettuale, che un movimento di intellettuali fosse politicamente impegnato; fu anche la prima volta che venne fuori l’aberrazione per la cosiddetta “ragion di stato”, che concedeva agli alti ranghi politico-militari e clericali di poter sacrificare vite umane a proprio piacimento e per i propri interessi.

Il testo dello scrittore francese, è molto forte ed incisivo. Gli costò un anno di carcere e il pagamento di una multa di 3000 franchi. La stessa morte di Zola, avvenuta il 5 ottobre 1902, si ipotizza, possa essere avvenuta per mano di qualcuno che avesse voluto vendicarsi di quell’affaire: morì, infatti, asfissiato a causa di una canna fumaria volontariamente manomessa da un fumista.

Dreyfus fu scagionato e reintegrato solo nel 1906, quando la Corte di Cassazione annullò la sentenza dell’appello e lo dichiarò innocente. Ma solamente nel 1995, le alte cariche dell’esercito francese, si pronunciarono dichiarando l’assoluta innocenza dell’ufficiale.

Di seguito il testo.

“J’accuse…!”

«Monsieur le Président,

permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie». (…)

«È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell'uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese? Per prima cosa, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus. Un uomo cattivo, ha condotto e fatto tutto: è il luogotenente colonnello del Paty di Clam.» (…)

«Dichiaro semplicemente che il comandante del Paty di Clam incaricato di istruire la causa Dreyfus, come ufficiale giudiziario nel seguire l'ordine delle date e delle responsabilità, è il primo colpevole del terribile errore giudiziario che è stato commesso. L'elenco era già da tempo nelle mani del colonnello Sandherr direttore dell'ufficio delle informazioni, morto dopo di paralisi generale. Ebbero luogo delle fughe, carte sparivano come ne spariscono oggi e l'autore dell'elenco era ricercato quando a priori si decise poco a poco che l'autore non poteva essere che un ufficiale di stato maggiore e un ufficiale dell'artiglieria: doppio errore evidente che mostra con quale spirito superficiale si era studiato questo elenco, perché un esame ragionato dimostra che non poteva agire soltanto un ufficiale di truppa. Si cercava dunque nella casa, si esaminavano gli scritti come un affare di famiglia, un traditore da sorprendere dagli uffici stessi per espellerlo. E senza che voglia rifare qui una storia conosciuta solo in parte, entra in scena il comandante del Paty di Clam da quando il primo sospetto cade su Dreyfus.»

«A partire da questo momento, è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l'affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce, di condurlo all'inevitabile completamento. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello stato maggiore, il generale de Boisdeffre che sembra aver ceduto alla sua passione clericale ed il sottocapo dello stato maggiore, il generale Gonse la cui coscienza si è adattata a molti. Ma in fondo non c’è che il comandante di Paty di Clam che li conduce tutti perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo, conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze alle quali egli ha sottomesso l'infelice Dreyfus, le trappole nelle quali ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le enormi immaginazioni, tutta una torturante demenza. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante del Paty di Clam, arresta Dreyfus e lo mette nella segreta. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Durante questo tempo, l'infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E la vicenda è stata progettata così come in una cronaca del XV secolo, in mezzo al mistero, con la complicazione di selvaggi espedienti, tutto ciò basato su una sola prova superficiale, questo elenco sciocco, che era soltanto una tresca volgare, che era anche più impudente delle frodi poiché i ”famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui da dove usciva più tardi il vero crimine, il rifiuto spaventoso di giustizia di cui la Francia è malata.» (…)

«Accuso il luogotenente colonnello de Paty di Clam di essere stato l'operaio diabolico dell'errore giudiziario.» (…) «Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di questo crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. Accuso il generale de Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, uno certamente per passione clericale, l'altro forse con questo spirito di corpo che fa degli uffici della guerra l'arcata santa, inattaccabile. Accuso il generale De Pellieux ed il comandante Ravary di avere fatto un'indagine scellerata, intendendo con ciò un'indagine della parzialità più enorme, di cui abbiamo nella relazione del secondo un imperituro monumento di ingenua audacia. Accuso i tre esperti in scrittura i signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere presentato relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio. Accuso gli uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell'Eclair e nell'Eco di Parigi, una campagna abominevole, per smarrire l'opinione pubblica e coprire il loro difetto. Accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato su una parte rimasta segreta, ed io accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto quest’illegalità per ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di liberare consapevolmente un colpevole
Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l'atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l'indagine abbia luogo al più presto. Aspetto.

Vogliate gradire, signor presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto»

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