Girato tra il 2008 e il 2009, la docu-fiction di Michela Occhipinti immortala una realtà completamente in via d’estinzione. Uno degli ultimi baluardi di romanticismo, di lentezza e di magia legati alle comunicazioni, è stato, nel frattempo, travolto dalla dilagante tecnologia. “Mentre il film era in corso d’opera” – sottolinea la regista – “sono iniziati i lavori di erezione di antenne delle telecomunicazioni”. È in questo preciso passaggio storico che l’alchimia d’inchiostro, penna e carta diventa, d’un tratto, vecchia e obsoleta. Avanza l’era dei cellulari anche nel deserto, delle comunicazioni facili e veloci da ogni parte del mondo. Si perde così la capacità della gente di saper aspettare, la capacità di vivere lentamente. Così, mentre gli operai lavorano per mettere su queste strane torri metalliche (veri intrusi del paesaggio, diremmo in Occidente), il lavoro del postino non ha più ragione d’esistere. Hari s’inventa venditore ambulante di frutta e verdura.
Un film ben confezionato, una storia commovente e coinvolgente. Il tentativo – ben riuscito – di raccontare poeticamente una storia fatta di spazi immensi, deserto, facce scavate dal tempo, lentezza, natura selvaggia e incontaminata. E l’arrivo del moderno, della tecnologia e della svolta storica.
Lina Rignanese
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