L'[A]lter è un contenitore senza coperchio. Una finestra sull'underground e sulle controculture.
mercoledì 27 luglio 2011
BOWLING FOR COLUMBINE
È il 20 Aprile 1999 quando, nel distretto amministrativo di Columbine non lontano da Denver nel Colorado, due studenti della Columbine High School si introducono nella loro scuola armati e cominciano a far fuoco su alunni ed insegnati. Eric Harris e Dylan Klebold uccisero quel giorno 12 studenti ed un insegnante, 24 furono i feriti compresi i tre che riuscirono a scappare all’esterno dell’edificio. I due giovani, dopo circa 40 minuti di follia, si suicidarono, lasciando così un’ombra indelebile nella già travagliata storia americana.
Parte da questo terribile evento lo “scomodo” regista Michael Moore per girare il suo pluripremiato “Bowling for Columbine”, un documentario di circa 120 minuti dove l’autore raccoglie interviste e testimonianze di quel giorno, ma non solo. Si cerca, infatti, di far luce sul perché gli Stati Uniti siano il Paese con il più alto numero di omicidi da arma da fuoco nel mondo, le cifre sono impressionanti: più di 11.000 morti l’anno (precisamente 11.127), un numero stratosferico soprattutto se paragonato a quello di altri Paesi; in Canada, ad esempio ce ne sono 165, in Germania 385, in Francia 255, nel Regno Unito 68, in Australia 65, in Giappone 39. I numeri lasciano molti punti interrogativi; qual è il motivo di questo forte disequilibrio tra USA e resto del Mondo? Si è detto che questa disparità è da ricercare nella storia piena di sangue degli Stati Uniti, ma forse Germania, Francia, Gran Bretagna o Giappone non hanno anche loro un passato insanguinato?
Un altro dato è inoltre significativo ed è fra tutti, forse, quello che più deve farci riflettere; questo dato ha un nome, si chiama “Secondo Emendamento” in base al quale ogni americano ha il diritto di possedere un’arma… nelle case degli americani ci sono ben 250 milioni di armi, c’è chi dorme con una 44 Magnum carica sotto il cuscino, chi compra proiettili al supermarket (negli USA le armi si acquistano nei grandi magazzini) ed altro ancora. La North Country Bank nel Michigan regala un fucile a chiunque apra un conto nella sua filiale, non c’è bisogno di porto d’armi o quant’altro, basta depositare del denaro e il gioco è fatto; ecco un fucile nuovo di zecca con il quale magari si può far fuoco in una scuola o perché no, rapinare la North Country Bank.
Nella scuola elementare di Buell a Flint, un cittadina del Michigan, un bambino di sei anni, dopo aver rubato la pistola dello zio, la mattina entra in classe e spara alla sua compagna di banco anche lei di soli sei anni; dopo ore di agonia, la piccola Kayla muore. Con questo nuovo orrore, la città di Flint può vantare un primato nazionale: la più giovane sparatoria degli Stati Uniti.
Dopo poche settimane dall’episodio della Buell, l’attore americano Charlton Heston, presidente dell’RNA - National Rifle Association (letteralmente Associazione Nazionale dei fucili) tiene una convention a Flint sull’uso delle armi e sul diritto di possedere un’arma. L’ormai attempato attore di Hollywood fa lo stesso dopo gli omicidi della Columbine…
Un ultimo dato raccolto dal regista americano dà un ulteriore idea della folle politica americana: lo stesso giorno degli omicidi alla Columbine, gli USA lanciarono sul Kosovo più bombe che ogni altra volta…
Michael Moore cerca di dare delle risposte al perché di tanta violenza americana, il suo “Bowling for Columbine”, vincitore del premio Oscar 2003 come miglior documentario, diventa un manifesto di denuncia contro la facilità degli Stati Uniti di possedere un’arma, contro le assurdità e le contraddizioni di un popolo che non riesce ancora a convivere né con sé stesso, né con gli altri.
Emiliano Sportelli
domenica 24 luglio 2011
GOODBYE, AMY
“We only said goodbye with words” – cantava in ‘Back to Black’, uno dei brani migliori dall’omonimo album, che ha portato Amy Winehouse al successo planetario. La “maledizione dei 27" sembrava finita con gli anni Novanta, e invece… di artisti passionali, con drammi esistenziali che sfiorano il caos, ce n’è ancora (ce n’era). Amy era dotata di un forte talento, di uno stile personale riconoscibilissimo con quella voce calda, roca, nera, d’altri tempi, quelli forse in cui si cantava “Strange Fruit” – così, tanto per portare scompiglio anche nelle alte sfere del cielo musicale. Il suo modo di cantare, sporco, trascinato, intenso ed espressivo come pochi, ha creato –suo malgrado – un nuovo modo di usare la voce per tante giovani cantanti. Quel misto di rhythm’n’blues, soul, jazz, rock’n’roll, quel misto di esplosività ed eccentricità, quel misto di droghe e alcool e di eccedenze molteplici, hanno fatto di lei la signora dei Tabloid, oltre che delle classifiche mondiali.
Sfumata la folla in quel di Camden Square, dove l’artista abitava e in cui è stata trovata morta, resteranno i suoi due album a parlare per lei. L’esordio nel 2003 con ‘Frank’, che lei stessa non riusciva più ad ascoltare, ma non certo a suonare dal vivo. Poi l’arrivo di ‘Back to Black’ nel 2006 e l’apoteosi di critica e pubblico.
Il mondo della musica sa essere spietato, così successo e problemi di dipendenza possono raggiungere livelli mostruosi di interessi economico-mediatici: una serie di concerti sotto tono con l’artista visivamente ubriaca, barcollante e incapace di cantare o star dietro ai musicisti, fino all’ultimo crollo a Belgrado lo scorso 18 giugno.
Di materiale pronto per il terzo attesissimo lavoro ce n’era, forse arriverà un album postumo, ma intanto continuiamo ad ascoltare le perle già create e a salutarla nel miglior modo possibile: in musica. Goodbye, Amy!
Lina Rignanese
sabato 23 luglio 2011
VERMICINO - L'INCUBO DEL POZZO
La maggior parte dei nati entro gli anni Ottanta ricordano o per lo meno qualcuno ha raccontato loro della tragedia "magna", di quell'episodio di cronaca nera che ha commosso l'intera Italia a reti unificate, sto parlando della vicenda del piccolo Alfredo Rampi.
Oggi, a trent'anni da quei fatti raccapriccianti, uno dei soccorritori di allora, Maurizio Monteleone, speleologo e disegnatore, ha deciso di dar voce e immagini a quella vicenda. Nasce, così, la graphic novel 'Vermicino - L'incubo del pozzo', edita da 001, che inaugura con questo albo una nuova collana dedicata a fatti di cronaca, visti da un aspetto inedito.
Nel libro la tragedia di Vermicino, situato nella campagna di Frascati, viene narrata da un punto di vista nuovo e originale, ossia a parlare saranno gli occhi di un testimone oculare, protagonisti di un racconto scevro di intermediari, che vuole mettere nero su bianco quanto di quella storia i media (nonostante la maratona di 18 ore di diretta RAI e uno share – diremmo oggi – di 21 milioni di persone) non seppero narrare per mancanza del “necessario approfondimento tecnico”. Per la prima volta un evento di cronaca viene presentato in prima persona e ci presenta dal vivo gli ingranaggi di quella che fu la macchina del salvataggio sin dal primo minuto e che ci mostra quello che avvenne nel dietro le quinte di una morte annunciata a reti unificate.
Il piccolo Alfredo rimase ummobilizzato in quella “camera buia” per tre lunghi giorni, incastrato a una profondità di 36 metri, bloccato da una curva o una rientranza del pozzo. Il primo tentativo fu di calare una tavoletta legata con delle corde, affinché il bimbo potesse aggrapparvisi, ma risultò un grave errore, la tavoletta rimase ferma a 20 metri e non fu più possibile sbloccarla. Si pensò allora di scavare un tunnel orizzontale di circa 2 metri, ma le vibrazioni della trivella, dinanzi a banchi di roccia dura, fecero scivolare il povero Alfredo fino a 60 metri di profondità. Mentre i soccorsi continuavano e la diretta televisiva incominciava, giunse in loco anche l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Terminato il cunicolo un volontario dal fisico esile, Angelo Licheri, si fece calare nel pozzo. Riuscì ad avvicinarsi al bambino, tentò di allacciargli l’imbracatura per riportarlo su, ma per tre volte questa si aprì, tentò così di afferrarlo con le braccia, ma scivolò ancora più in profondità. Licheri dovette cedere e un altro speleologo, Donato Caruso, riprovò, ma dovette risalire con la notizia della probabile morte di Alfredino. Dopo la dichiarazione di morte presunta, il magistrato, per assicurare la conservazione del corpo, ordinò di immettere nel pozzo dell’azoto liquido. La salma venne recuperata da tre squadre di minatori ben 28 giorni dopo, l’11 luglio.
Lina Rignanese
Seguono le prime due parti della puntata di 'La Storia siamo noi' di Giovanni Minoli, dedicata ad Alfredino Rampi:
martedì 19 luglio 2011
IN ATTESA DEI 'CATTIVI GUAGLIUNI'
Dieci anni dopo l’ultimo lavoro i 99 Posse tornano sulle scene con un nuovo album ‘Cattivi guagliuni’. Oggi in fase di ultimazione, uscirà nell’autunno 2011. La band si era sciolta nel 2005 e in seguito riunitasi nel 2009, quando a Piazza del Gesù di Napoli i movimenti napoletani avevano organizzato un concerto per esprimere solidarietà ai 21 attivisti dell’Onda arrestati all’Università di Torino e per raccogliere fondi destinati alle spese legali dei ragazzi.
Gruppo musicale sempre attento alle problematiche sociali e politiche, quello che salta all’occhio in questo diciassettesimo anno della seconda Repubblica è la fine di un impero, la degenerazione dei cortigiani e il fuggi-fuggi dei servi, pronti ad accaparrarsi gli ultimi pezzi di argenteria disponibile a palazzo. Ma di nuovo, rispetto al passato, ci sono i sintomi di risveglio, le popolose piazze italiane, la rabbia dei precari, i teatri occupati, la sconfitta del Pdl a Napoli, Milano, Cagliari e, dall’altra parte del mare, le rivolte maghrebine. “La nostra ambizione con ‘Cattivi guagliuni’ è quella di fotografare il momento che stiamo vivendo, raccontare le storie di un’Italia che perde terreno, lavoro e salario, ma che prova a resistere e a rilanciare la battaglia per i diritti e i beni comuni, senza dimenticare le guerre e le lotte contro la miseria e i tagli imposti dal neoliberismo in tutto il mondo”.
Un album che all’elettronica degli ultimi lavori ri-aggiunge il suonato analogico degli esordi, e come per gli inizi, ricco di collaborazioni. Quasi un voler esprimere totalmente la fisicità, la presenza della band, che ritorna, questa volta, non solo per “beneficenza”, ma per esserci fisicamente, per resistere.
Di sotto, dei video-tribute su ‘Cattivi guagliuni’, a cura del Frankenstudio, composto dal disegnatore Emilio Rizzo, da Zanna VJ e da Martina Scala.
Lina Rignanese
lunedì 18 luglio 2011
LETTERE DAL DESERTO (ELOGIO DELLA LENTEZZA)
Hari cammina nel deserto o al massimo pedala fin dove l’asfalto arriva. Siamo nel villaggio di Udat, nel deserto del Thar (Nord-Ovest dell’ India) composto di pochi nuclei familiari, poche capanne distribuite nel territorio semi-arido. In posti come questo, il postino ha una funzione quasi divina: egli è (ancora) il custode delle buone o delle brutte notizie portate consumando le suole delle scarpe e annunciate con la propria voce; quasi nessuno nel villaggio sa leggere o scrivere, così, per ogni lettera recapitata, Hari sosta davanti alla porta delle case e legge il contenuto di tutte le corrispondenze: di un figlio che parla del lavoro in una qualche metropoli del mondo; di un invito di matrimonio; della nascita di un altro nipote; di un parente scomparso. Le notizie luttuose si riconoscono, invece, a vista d’occhio: sono le missive con un angolo strappato.
Girato tra il 2008 e il 2009, la docu-fiction di Michela Occhipinti immortala una realtà completamente in via d’estinzione. Uno degli ultimi baluardi di romanticismo, di lentezza e di magia legati alle comunicazioni, è stato, nel frattempo, travolto dalla dilagante tecnologia. “Mentre il film era in corso d’opera” – sottolinea la regista – “sono iniziati i lavori di erezione di antenne delle telecomunicazioni”. È in questo preciso passaggio storico che l’alchimia d’inchiostro, penna e carta diventa, d’un tratto, vecchia e obsoleta. Avanza l’era dei cellulari anche nel deserto, delle comunicazioni facili e veloci da ogni parte del mondo. Si perde così la capacità della gente di saper aspettare, la capacità di vivere lentamente. Così, mentre gli operai lavorano per mettere su queste strane torri metalliche (veri intrusi del paesaggio, diremmo in Occidente), il lavoro del postino non ha più ragione d’esistere. Hari s’inventa venditore ambulante di frutta e verdura.
Un film ben confezionato, una storia commovente e coinvolgente. Il tentativo – ben riuscito – di raccontare poeticamente una storia fatta di spazi immensi, deserto, facce scavate dal tempo, lentezza, natura selvaggia e incontaminata. E l’arrivo del moderno, della tecnologia e della svolta storica.
Lina Rignanese
Girato tra il 2008 e il 2009, la docu-fiction di Michela Occhipinti immortala una realtà completamente in via d’estinzione. Uno degli ultimi baluardi di romanticismo, di lentezza e di magia legati alle comunicazioni, è stato, nel frattempo, travolto dalla dilagante tecnologia. “Mentre il film era in corso d’opera” – sottolinea la regista – “sono iniziati i lavori di erezione di antenne delle telecomunicazioni”. È in questo preciso passaggio storico che l’alchimia d’inchiostro, penna e carta diventa, d’un tratto, vecchia e obsoleta. Avanza l’era dei cellulari anche nel deserto, delle comunicazioni facili e veloci da ogni parte del mondo. Si perde così la capacità della gente di saper aspettare, la capacità di vivere lentamente. Così, mentre gli operai lavorano per mettere su queste strane torri metalliche (veri intrusi del paesaggio, diremmo in Occidente), il lavoro del postino non ha più ragione d’esistere. Hari s’inventa venditore ambulante di frutta e verdura.
Un film ben confezionato, una storia commovente e coinvolgente. Il tentativo – ben riuscito – di raccontare poeticamente una storia fatta di spazi immensi, deserto, facce scavate dal tempo, lentezza, natura selvaggia e incontaminata. E l’arrivo del moderno, della tecnologia e della svolta storica.
Lina Rignanese
venerdì 15 luglio 2011
FREAKS
Il tema del mostro è uno dei più trattati nel cinema (horror in prima linea, ma non solo) e nella maggior parte dei casi, con il termine mostro si intende proprio l’essere mal formato. L’idea che si ha di esso è duplice: difatti può essere etichettato sia come essere cattivo, che come buono. Punto fondamentale è però uno solo: la creatura, infatti, sia che si parli di mostri buoni o cattivi, in quanto mal formata, essa è sempre indice di maligno e quindi vista come qualcosa da cui tenersi alla larga. È su quest’ultimo punto che si dovrebbe riflettere guardando “Freaks” un piccolo capolavoro degli anni Trenta firmato Tod Browning.
La storia vede come protagonisti un gruppo di veri freaks (nani, uomini torso, donne barbute, ermafroditi) i quali, animati da grande spirito di squadra, riempiono d’allegria le giornate di un circo di quartiere dove sono loro le vere “attrazioni viventi”. In tutto questo si dipana pian piano la tela malvagia della giovane e bella Cleopatra che, una volta scoperta la ricca eredità del nano Hans, cercherà di entrare nelle sue grazie, sposarlo ed infine derubarlo. Scoperto l’inganno, saranno gli stessi freaks ad allearsi e a vendicarsi per il torto subito applicando alla lettera la cosiddetta “Legge dei Freaks”.
Sono diversi i punti importanti del film di Browning: innanzitutto ciò che risalta agli occhi è la forte empatia che lega questo gruppetto di persone, unite in una comune e triste sorte che accettano con grande coraggio, ma dalla quale è impossibile fuggire. Rispecchiandosi gli uni negli altri, danno prova di profonda e vera amicizia, un sentimento questo che per loro va al di là dell’aspetto esteriore e che rende il pubblico consapevole di cosa voglia dire la parola “umanità”. Non c’è nessuna compassione nei loro gesti e nei loro atteggiamenti, soltanto una forte presa di coscienza su chi davvero essi siano; in effetti nessuno dei freaks rinnega il suo aspetto o il suo essere “diverso” (se così lo possiamo definire), anzi sembra quasi che il loro stato di “mostro” sia l’arma utilizzata nella vendetta contro Cleopatra.
Epiche alcune scene del film: tra tutte quella in cui l’uomo torso riesce ad accendersi una sigaretta senza avere braccia e gambe, scena davvero impressionante! Così come l’ultimo fotogramma che ritrae il risultato ottenuto dalla vendetta dei freaks …
Il regista Tod Browning, fortemente criticato e censurato per questa pellicola, mette in scena un universo che, purtroppo, è quasi del tutto sconosciuto agli occhi della società contemporanea e dal quale c’è sempre e tanto da imparare.
Emiliano Sportelli
La storia vede come protagonisti un gruppo di veri freaks (nani, uomini torso, donne barbute, ermafroditi) i quali, animati da grande spirito di squadra, riempiono d’allegria le giornate di un circo di quartiere dove sono loro le vere “attrazioni viventi”. In tutto questo si dipana pian piano la tela malvagia della giovane e bella Cleopatra che, una volta scoperta la ricca eredità del nano Hans, cercherà di entrare nelle sue grazie, sposarlo ed infine derubarlo. Scoperto l’inganno, saranno gli stessi freaks ad allearsi e a vendicarsi per il torto subito applicando alla lettera la cosiddetta “Legge dei Freaks”.
Sono diversi i punti importanti del film di Browning: innanzitutto ciò che risalta agli occhi è la forte empatia che lega questo gruppetto di persone, unite in una comune e triste sorte che accettano con grande coraggio, ma dalla quale è impossibile fuggire. Rispecchiandosi gli uni negli altri, danno prova di profonda e vera amicizia, un sentimento questo che per loro va al di là dell’aspetto esteriore e che rende il pubblico consapevole di cosa voglia dire la parola “umanità”. Non c’è nessuna compassione nei loro gesti e nei loro atteggiamenti, soltanto una forte presa di coscienza su chi davvero essi siano; in effetti nessuno dei freaks rinnega il suo aspetto o il suo essere “diverso” (se così lo possiamo definire), anzi sembra quasi che il loro stato di “mostro” sia l’arma utilizzata nella vendetta contro Cleopatra.
Epiche alcune scene del film: tra tutte quella in cui l’uomo torso riesce ad accendersi una sigaretta senza avere braccia e gambe, scena davvero impressionante! Così come l’ultimo fotogramma che ritrae il risultato ottenuto dalla vendetta dei freaks …
Il regista Tod Browning, fortemente criticato e censurato per questa pellicola, mette in scena un universo che, purtroppo, è quasi del tutto sconosciuto agli occhi della società contemporanea e dal quale c’è sempre e tanto da imparare.
Emiliano Sportelli
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