mercoledì 21 marzo 2012

MARE CHIUSO



“Thank you Italians!”, affermava ironico e deluso uno dei 200 migranti intercettati in alto mare dalla Marina Militare Italiana e rimandati in Libia, quel triste 6 maggio 2009. Un video girato con un cellulare testimonia la disumanità e le violenze da parte dei militari italiani: “siamo stati picchiati, le mani legate dietro la schiena e rigettati in mano ai libici”. Tutti provenienti dal Corno d’Africa, regione dilaniata dalla guerra, e aventi diritto d’asilo, ma sono stati rimessi nelle mani degli uomini di Gheddafi prima di poter chiedere qualsiasi cosa, financo l’acqua.
Chi erano quei migranti? Quante persone sono state respinte in Libia? Che fine hanno fatto? La risposta è per lo più vaga, i numeri un’incognita. Un quadro della situazione ci viene presentato dalle testimonianze dirette che Andrea Segre e Stefano Liberti hanno raccolto nel campo profughi di Shousha, al confine tra Tunisia e Libia, nel documentario d’inchiesta, “Mare chiuso”(nelle sale dal 15 marzo). Il documentario è prodotto da ZaLab, con il sostegno di Open Society Foundations,  in collaborazione con JoleFilm e con il patrocinio della Sezione Italiana di Amnesty International e dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Il filo conduttore di tutto il doc è la storia di Semere Kahsay, giovane eritreo, che per raggiungere sua moglie, fuggita qualche settimane prima per partorire in sicurezza sull’altra sponda del mare, viene respinto e rinchiuso nei carceri-lager libici, poi arriva la rivolta contro Gheddafi, la guerra e la fuga in Tunisia. Altra testimonianza è quella di Ermias Berhane, rinchiuso nel Cara di Crotone, uno dei 9 sopravvissuti sui 72 del barcone rimasto in altomare nel marzo 2011 e abbandonato a se stesso, nonostante un elicottero della Marina sorvolasse la zona. Il tutto a pochi nodi da Lampedusa.
Si calcola che tra il mese di maggio del 2009 e il mese di settembre del 2010, migliaia di migranti africani siano stati ricacciati a Tripoli, dove avrebbero subito ogni tipo di violenza all'interno di quei famigerati campi di detenzione lager di ZlitenTweisha o Khasr El Bashir.
A questo punto la domanda: “Quali sono le responsabilità degli Italiani?” La sentenza della Corte di Strasburgo conferma all’unanimità l’atto di accusa contro l’Italia per aver violato i diritti dell’uomo e le regole del diritto d’asilo (articoli 3, 5 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). Il processo, tenacemente sostenuto dagli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, parte proprio dai fatti di quel 6 maggio 2009, quando 200 somali ed eritrei, tra cui bambini e donne incinte, sono stati intercettati, caricati su navi italiane e riaccompagnati a Tripoli “senza essere stati prima identificati, ascoltati né informati sulla loro destinazione”. 
Questa “furbata” comandata dall’allora Ministro degli Interni, Roberto Maroni, e dal governo Berlusconi era figlia degli accordi bilaterali del Trattato d’amicizia italo-libico e del clima xenofobo dilagante nel nostro Paese e in Europa, negli ultimi tempi. Dunque, un "punto di non ritorno" - come ha definito la sentenza Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - per evitare che quei crimini si ripetano, soprattutto quando servirebbe un piano di accoglienza serio per far fronte alle migliaia di profughi (siriani, libici e somali) che in questi giorni affollano le coste libiche. Sarebbe cosa ben gradita e leale capire la posizione dell’attuale governo tecnico  e cosa è ancora effettivo di quel Trattato a firma Berlusconi-Gheddafi (tuttora in vigore). Un quadro chiaro e trasparente delle responsabilità dei singoli e della situazione sarebbe utile a fare un piano di cooperazione e sviluppo tra le due sponde del Mediterraneo  nel pieno rispetto dei diritti umani.

Lina Rignanese

Appendice:


martedì 20 marzo 2012

NERONE E' MORTO?

Sbirciando tra montagne di libri usati in uno dei tanti mercatini dell'usato della capitale, mi sono imbattuta in un libercolo alquanto curioso: disegni eseguiti in piena libertà di stile con un minimalismo stilizzato quasi fanciullesco e uno scritto disordinato e sgrammaticato che serpeggiava tra le immagini.
Il libercolo è l'"Informazione Teatrale #3" (Antëditore), fanzine nata nel 1972 su cui venivano pubblicati copioni di opere teatrali.
Pubblico qui sotto l'intro che precede il copione del dramma storico 'Nerone è morto?', scritto dal drammaturgo ungherese Miklos Hubay.

Teatro Stabile di Torino – INFORMAZIONE TEATRALE #3 (Antëditore)
Intro a ‘Nerone è morto?’ Di Miklos Hubay

Per non dormire. Osare. Non lasciar perdere le montagne. Ci sono vette anche senza aria fresca senza cervello. Importante è scoprire un giù per andare in su e riempire della scoperta il cervello vuoto della gente che non va né in su né in giù. Essere divi folli – folli divi – divi riconosciuti. La costruzione il fregio un ordine inutile – usabile malinconia ninfa gentil!
Il passo ed il trapasso il punto fermo e l’atto storico. Avere personalità che conquista. Conquistare. Studiare il gesto come la linea slanciata del calligrafo sulla carta. Creare il desiderio provocando curiosità, immaginarsi l’effetto, la conseguenza. Non essere mai colti di sorpresa ma impegnarsi a farlo credere. Animare oggetti da poco: carte, spille, piccoli anelli, fazzoletti del proprio essere. Creare-uno-spazio-dove immaginarie distanze creino irraggiungibilità invidiosa proprio dove tutto è alla portata di mano. Disporre i propri idolatori secondo precise regole di stupidaggine sensibile, farli giurare di non riferire le vere maldicenze e calunnie di cui-li-si fa inconsapevolmente partecipi e soprattutto farli furiosamente istericamente violentemente pazzamente litigare. Essere creatori di tronfiezza, modellare le parole sullo stile oratorio capovolgere il senso dell’umile e del sobrio per padroneggiare i contenuti di una ipocrisia stilistica assolutamente convincente; leggeri come gli indifferenti, incontinenti come i golosi pronti al vomito per compiangersi. Usare gli specchi e la gente con progressiva bramosia, convincersi istericamente di averne bisogno. Compiacersi delle sconfitte in quanto naturali generatrici di vittorie, sentirsi pianta madre, quercia e non pioppo, noce e non salice concedere benignamente ai parassiti vita stentata.
Terrorizzare dopo aver sedotto parlare spesso della propria morte con enfasi e con calcolato sadismo di quella degli altri. Conoscere fin dove l’imprevedibilità del limite misterioso condiziona la prevedibilità dei limiti fissati dall’uomo. Vincere sempre i propri nemici e in caso di sconfitta, scappare, scappare. Coltivare l’arte della fuga come si era coltivata l’arte della vita e della guerra.

Per approfondire su Miklos Hubay:
http://www.vivibudapest.com/portal/2011/05/in-ricordo-di-miklos-hubay/ http://www.unisi.it/semicerchio/upload/il_tragico_contemporaneo.htm

 LR

venerdì 9 marzo 2012

GIORNALISTI CON GROUPON A SOLI 24,90 EURO


Ciro Pellegrino (tra gli autori del libro 'Il casalese' - Cento Autori, 2011) segnala questo "buono sconto" per diventare giornalisti.
Sì, sì, avete capito bene... Groupon, la marca che mercanteggia buoni e offerte, sta pubblicizzando la vendita di un pacco offerta per diventare giornalisti! La nota 'G' ha preso alla lettera la parola 'liberalizzazione', a quanto pare... per una più sana e robusta svalutazione della professione.

LR

giovedì 8 marzo 2012

SAN PRECARIO - LETTERA APERTA AL GOVERNO SUL LAVORO













Vi propongo la lettera aperta che gli Stati Generali della Precarietà inviano al governo. Per una riforma del lavoro che parta dal punto di vista di chi non ha proprio nulla da perdere: i precari.


Caro
Mario Monti e Ministri Tutti,


A marzo regalerete la riforma del mercato del lavoro mentre avete rimandato al 2013 il riordino del sistema iniquo e arretrato degli ammortizzatori sociali.
Il pacco Monti-Fornero è un passaggio fondamentale nelle politiche di flessibilizzazione realizzate negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi alias Boeri – e sono un esempio di “ingegneria normativa” che porterà a 47 il numero di tipologie contrattuali utilizzate nella giungla della precarietà. Tutto cambia perché niente cambi, soprattutto per i precari.

Attualmente l’indennità di disoccupazione copre il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – crea sperequazione, clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori. L’articolo 18 tutela (per modo di dire) solo il 60% della forza lavoro e sommando finte partite iva e parasubordinazioni la percentuale scende. E’ la concezione stessa dei diritti e delle tutele ad essere parziale e minoritaria, quindi perdente. Serve invece un’idea ampia e convincente per unificare generazioni e lavori. I tavoli di negoziazione tra governo e sindacati non prendono affatto in considerazione la condizione di milioni di precari e precarie che quotidianamente producono ricchezza.
Nelle mani precarie c’è invece la possibilità di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità: non più garantiti contro precari, giovani contro meno giovani, nord contro sud, lavoro contro non lavoro, italiani contro migranti. Non già profitti garantiti alle grandi lobby ma accesso al reddito di base incondizionato, ai servizi fondamentali e ai beni comuni.
Gli Stati Generali della Precarietà vogliono rovesciare il triste destino di questo marzo per trasformarlo nel mese dell’attivazione e della cospirazione precaria. Dal Primo Marzo giorno dello sciopero migrante fino al 10 marzo gli Stati Generali della Precarietà apriranno in diverse città spazi di connessione, presa di parola e attivazione tra chi non si rassegna alla vita precaria, ma invece rivendica reddito di base incondizionato contro il ricatto della precarietà.

Nelle ultime settimane il Vostro governo ha portato avanti un’incredibile offensiva mediatica a colpi di insulti e mortificanti luoghi comuni (sfigato se sei precario monotono se hai il posto fisso) per giustificare una riforma che, come già avvenuto per quella previdenziale, asseconda le direttive dell’ortodossia monetarista di un’ Unione Europea che ha tradito chi la sognava come modello di coesione e solidarietà sociale, di diritti e libertà. E’ l’ennesima riforma che non parte dalle esigenze di chi nel mercato del lavoro si muove o di chi ne rimane fuori, tanto è vero che sulla mancanza di fondi per i cosiddetti ammortizzatori sociali Voi, e ancor di più i sindacati, avete messo una pietra tombale. Gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il punto di vista precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce. Precari e precarie non hanno scelto la loro condizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisi.

Garantire un reddito di base incondizionato, in grado di sostituire gli attuali distorti ammortizzatori sociali, non necessita di cifre iperboliche ma è del tutto possibile, come si dimostra nel n. 1 dei Quaderni di San Precario http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf. Un reddito di base incondizionato che venisse finanziato dalla fiscalità generale – ovvero dalla tassazione delle ricchezze – permetterebbe di diminuire quella parte del costo del lavoro rappresentata dai contributi sociali migliorando le retribuzioni (tra le più basse d’Europa), le opportunità e l’accesso al lavoro stesso liberando la precarietà dal ricatto come nessuna delle proposte sul tavolo governo-parti sociali. Il problema non è di sostenibilità economica bensì di volontà politica. Prendere le risorse necessarie dalla fiscalità generale rimette al centro la questione delle scelte politiche. Pochi esempi: dall’introduzione di una tassa patrimoniale sui patrimoni superiori ai 500.000 euro e dalla tassazione delle rendite finanziarie si possono stimare incassi pari a 10,5 miliardi di Euro, il giusto ripristino della progressività delle imposte in un paese dove la forbice tra ricchi e poveri si va allargando a dismisura porterebbe a reperire ulteriori 1,2 miliardi. Una razionalizzazione della spesa pubblica, solo nel campo della spesa militare (vedi i 15 miliardi per gli F35) e delle grandi opere del trasporto (vedi la Torino-Lione), potrebbe consentire un risparmio di quasi 6 miliardi.

E per finire lanciamo un marzo di cospirazione precaria a cominciare dal Primo marzo all’insegna dello sciopero migrante, perché i migranti molti ormai di seconda generazione sono quasi un decimo della popolazione italiana e rappresentano una percentuale ancora maggiore della popolazione attiva. La loro condizione di cittadini a tempo determinato sotto ricatto perenne per il permesso di soggiorno, oltre che essere umanamente bestiale e indegna, si ripercuote su tutto l’insieme dei lavoratori creando un dumping salariale pazzesco. Bisogna abolire la Bossi-Fini, che di fatto è una legge sul lavoro; la Turco-Napolitano e il reato di clandestinità. E’ tempo di garantire ai migranti cittadinanza e pieni diritti. Per continuare dal 2 al 10 con la settimana di attivazione contro la giungla della precarietà per il reddito di base incondizionato.

Si arriva poi al 17 e 18 a Napoli per nostro quarto appuntamento degli Stati Generali della Precarietà. Spazio di connessione e cooperazione tra reti che intervengono nella precarietà, nei luoghi di lavoro, nei territori, nei dibattiti, nelle assemblee, al di là di sindacati e partiti e sviluppando proprio per questo un forte punto di vista precario che non nasce dall’analisi della condizione precaria, ma dall’azione e dal protagonismo dentro il meccanismo della precarizzazione e che porterà, tra le altre, alla costruzione dello sciopero precario.

La ricchezza che il mondo precario esprime è un tesoro da difendere dalle grinfie di un futuro di fallimento e da un immediato presente di austerity, da un lavoro sempre più squalificato, sottopagato, demansionato e inaccessibile. Il miglior antidoto alla tecno-burocrazia del Vostro governo senza cuore e senza anima sono le intelligenze indipendenti che si liberano nella cospirazione precaria.

Voi potete continuare a far finta che non esistiamo e Vi assumerete questa responsabilità. Gli Stati Generali della Precarietà si assumono quella di riprendersi il futuro.

Cordialmente

Stati Generali della Precarietà

lunedì 5 marzo 2012

CESARE ADDA MURÌ



























Dove finisce la vita e inizia la finzione? Ci sono rappresentazioni in cui sfumano l’una nell’altra. Ci sono passioni primordiali messe in atto “per finta”, ma che risvegliano istinti già vissuti oppure giacenti. È la funzione mimetica e catartica del teatro. È la forza emotiva che contraddistingue le opere magnifiche da quelle mediocri. Alla prima categoria appartiene l’ultimo lavoro di Paolo e Vittorio Taviani, vincitore del 62° Orso d’Oro a Berlino. Vi appartiene perché il documentario d’autore (non posso chiamarlo docu-fiction!) sfuma nella rappresentazione teatrale. Vi appartiene perché gli attori-detenuti non recitano, ma vivono il “Giulio Cesare” di Shakespeare.

Nella tragedia si parla di un tiranno, di tradimenti, uomini d’onore, odio, omicidio. Situazioni d’attualità e realmente vissute (in prima persona o indirettamente) da chi è rinchiuso nel reparto di Alta Sicurezza di Rebibbia N.C..
È la verità degli attori la forza propulsiva del film. Così determinati nello studio delle parti e così a loro agio da tradurre la lingua di Shakespeare nei loro dialetti d’appartenenza: pugliese, siciliano, napoletano, calabrese diventano lingua teatrale, strumento necessario per far funzionare il rito collettivo. È la verità del sentire l’Arte da parte di chi la incontra dietro le sbarre a trasmettere l’emozione più grande: la funzione dell’Arte come salvezza, come presa di coscienza, come purificazione, come strumento di evasione, come libertà. Verità che diventano palpabili in quegli occhi davanti allo schermo, imprigionati nel loro passato, prima che in una cella. “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione” – ci dice “Cassio” (un bravo Cosimo Rega, poeta).

“Tutto è iniziato per caso” – racconta Paolo Taviani - “quando una nostra amica ci ha invitati ad assistere a uno spettacolo teatrale curato da Fabio Cavalli a Rebibbia”. Fu proprio l’emozione vissuta in quell’occasione a far nascere poi l’idea di farci un film.
Fabio Cavalli, direttore artistico del Centro Studi Enrico Maria Salerno, dirige da dodici anni la Compagnia dei Liberi Artisti Associati all’interno del carcere romano. Alcuni degli attori, una volta scontata la pena, sono anche riusciti a diventare dei professionisti, o almeno “a provarci” – come afferma, sorridente, Salvatore Striano (l’intenso Bruto).

Il documentario, girato in digitale (per la prima volta dai fratelli Taviani), parte dalla rappresentazione finale del pezzo teatrale. Scrosciano gli applausi. Le luci si abbassano sugli attori tornati carcerati. Sei mesi prima: i provini, l’incontro con il testo, le prove.
Lo stacco dell’intreccio viene sottolineato dal linguaggio fotografico (protagonista eccellente nel film grazie all’ottimo Simone Zampagni): toni accesi con dominanza di rosso nella messa in scena, uso del bianco e nero fortemente contrastato (quasi espressionistico) nel flash-back. Preziosa la colonna sonora di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, minima e tutta concentrata sul racconto di quei volti carichi di tragico. Riscattati con il teatro.

Lina Rignanese

domenica 4 marzo 2012

TANTE RAGIONI PER NOTAV!



"Abbiamo capito che in Val di Susa non è in gioco la realizzazione della ferrovia Torino-Lione, bensì un intero modello sociale"

ProTAV o NoTAV questo è il problema... la mia scelta è: NO, grazie!

NO perché sto sempre con la gente che difende la propria terra da un'occupazione militare.
NO perché Luca Abbà non sarebbe mai salito su un traliccio dell'alta tensione se la macchina della violenza coatta non si fosse messa in moto.
NO perché in democrazia le decisioni devono essere prese insieme alla popolazione.
NO perché i PRO assumono toni da propaganda spiccia e questo mi fa annusare puzza di truffa.
NO perché il grande business in Italia fa rima con grandi opere, partiti, mafia e delinquenza.
NO perché quei soldoni li spenderei per ridare all'Italia una rete ferroviaria (degna di questo nome) che la ripercorra tutta da Nord a Sud, di giorno e di notte, e che sia per tutti, utile, pulita ed economica.
NO perché gli effetti collaterali dell'Alta Velocità o dell'Alta Capacità presuppongono troppe vittime in termini di vite umane, animali, dell'ambiente e della felicità degli abitanti di quelle terre.
NO perché informata dei fatti.

Qui trovate un blog pieno zeppo di documenti e studi

Qui trovate 150 ragioni per dire NO

Qui trovate il documentario d'inchiesta 'Fratelli di TAV'(2008) di Luppichini, Metallo

Qui trovate l'inchiesta di Report (23/Ottobre/2011)

LR