di Lina Rignanese
L’ennesima occasione persa nel 2009. Il summit di Copenhagen rappresentava un punto di svolta, il momento per i leader del mondo di dimostrare con i fatti la volontà politica di cambiar rotta in ambito ambientale ed energetico. Invece, abbiamo assistito al solito giro di boa, tutti pronti, a vele spiegate, a prendere altro tempo. Ci si aspettava di fissare dei vincoli legislativi, dei termini di verifiche, ma non si è riuscito ad andare oltre l’Accordo teorico (dal momento che non è politicamente vincolante), di diminuire le emissioni globali del 50 per cento entro il 2050.
Gli scienziati avvertono: se le temperature aumenteranno di oltre 2°C, rispetto al 1990, i cambiamenti climatici non saranno più controllabili. Ci troveremmo dunque a vivere quello che è il mito di Atlantide: la furia della natura si abbatterebbe contro l’Uomo, spazzandolo via con tutta la sua arrogante ingordigia. Già oggi, gli impatti climatici cui assistiamo sono ben al di là delle previsioni; il fattore antropico ha accelerato quelle che sono le naturali dinamiche di mutazioni climatiche, apportando caotiche e distruttive alterazioni che sono tuttora visibili in alcune parti del mondo: siccità, inondazioni, scioglimento dei ghiacciai, indicano che gli impatti ci stanno già colpendo, “ora e qui”.
Eppur qualcosa teoricamente si muoverebbe, infatti, a livello internazionale i Paesi firmatari del Protocollo di Kyoto si impegnano a ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni di gas serra in una misura non inferiore al 5% rispetto al 1990; per quanto riguarda i non firmatari di Kyoto, gli USA si impegneranno a ridurre del 17% e il Giappone del 25% entro il 2020. E in ambito europeo, dal marzo 2007, è entrato in vigore il pacchetto legislativo che intende consentire all’UE di ridurre di almeno il 20% le emissioni di gas serra e porta al 20% la quota di rinnovabili nel consumo energetico entro il 2020. Queste riduzioni per gli scienziati sono insufficienti, infatti, si dovrebbero tagliare le emissioni entro il 2020 del 25-40%. Stando agli impegni presi attualmente, una riduzione così modesta spingerebbe la temperatura ad un aumento di 3°C.
Quello che si evince dalla prospettiva futura è che l’Era delle fonti fossili (carbone, petrolio, gas), le maggiori emittenti di gas serra, è in fase terminale, anche se le corporazioni dei poteri forti continuano a mantenerle in vita, falsificando il mercato con sussidi (spesso statali) che rendono i combustibili fossili convenienti e più a buon mercato rispetto alle fonti rinnovabili. In questo mercato drogato dovrebbero intervenire i governi per eliminare le barriere (burocratiche e commerciali) innalzate ai danni dell’energia pulita ed imporre maggiori tasse per quelle compagnie che inquinano di più, aggiungendo ad essi al costo di mercato anche i costi socio-sanitari ed ambientali.
È un mercato drogato anche quello italiano, monopolizzato dai due colossi delle energia: Enel Spa ed Eni spa (di cui lo Stato dispone quote intorno al 30%). E il gruppo guidato da Piero Gnudi ha tutto l’interesse di rafforzare la propria quota di energia prodotta dal carbone (con le nuove centrali di Saline Joniche, Porto Tolle, Fiume Santo e Vado Ligure, Rossano Calabro e la riconversione della centrale di Torrevaldaliga, a nord di Civitavecchia) ed affermarsi nel campo del nucleare, dove è già presente in altri Paesi (Spagna, Slovacchia, Francia, Romania, Russia) attraverso partecipazioni ad altre società energetiche. Oppure gli interessi di Eni nella realizzazione di nuovi gasdotti, come l’ultimo contratto di 300 milioni di euro firmato il 22 dicembre scorso in favore di Snam Rete Gas (caposettore del gruppo Eni che si occupa del trasporto e della commercializzazione del gas), finanziato al 50% dalla Banca europea, per la realizzazione di due nuovi gasdotti, uno sorgerà in Puglia tra Massafra e Biccari, mentre l'altro in Lombardia, tra Cremona e Sergnano.
Finché il governo non stilerà un Piano Energetico Nazionale a dettare le linee guida dello sviluppo energetico dei prossimi anni, saranno gli infidi interessi economici a dettar legge a scapito del benessere collettivo e della reale situazione italiana. È importante inoltre che il governo garantisca la pluralità tra i soggetti che effettuano operazioni di produzione, trasmissione e dispacciamento di elettricità e gas.
Il futuro è nelle rinnovabili, dunque, ma l’Italia sembra non accorgersene e guarda indietro alla mancata stagione del nucleare, o al miracolo del carbone pulito, o al gas. Questa mancanza di lungimiranza è gravissima ed irresponsabile e mostra che il nostro Paese è vecchio, arteriosclerotico e non affatto saggio.
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