giovedì 24 maggio 2012

DEL PASSARE OLTRE


Così, passando lentamente in mezzo a varie genti e a città d’ogni genere, Zarathustra allungava la via del ritorno alla sua montagna e alla sua caverna. Ed ecco che, senza accorgersene, si trovò davanti alla porta della grande città: qui però un pazzo furioso gli balzò incontro con le braccia spalancate e gli sbarrò il cammino. Ma costui era lo stesso pazzo che il popolo chiamava la “scimmia di Zarathustra”: egli infatti aveva ricopiato qualcosa della costruzione e del tono dei suoi discorsi e volentieri prendeva in prestito dal tesoro della sua saggezza. E il pazzo fece a Zarathustra questo discorso:
«Oh, Zarathusta, qui è la grande città: qui nulla hai da cercare e tutto da perdere.
Perché sei voluto passare a guado attraverso questa melma? Abbi compassione dei tuoi piedi! Sputa piuttosto sulla porta della città e – torna indietro!
Qui è l’inferno per pensieri da eremita: qui i grandi pensieri vengono bolliti vivi e cotti a pezzi.
Qui marciscono tutti i grandi sentimenti: qui soltanto sentimentucci scheletriti possono far rumore coi loro ossicini!
Non senti già l’odore dei macelli e delle bettole dello spirito? Non esala questa città miasmi di spirito macellato?
Non vedi le anime penzolare come stracci sudici e stracchi? – E di questi stracci fanno anche giornali!
Non senti come lo spirito qui sia diventato gioco di parole? Un liquame schifoso di parole ne vien fuori! – E con questo liquame di parole essi fanno giornali.
Essi si pungolano a vicenda, né sanno perché. Essi fanno fracasso con la loro latta, fan tintinnare il loro oro.
Essi sono freddi e cercano calore in liquidi distillati; sono accaldati e cercano refrigerio presso spiriti raggelati; tutti sono infermi e appestati di opinioni pubbliche.
Tutti i piaceri e i vizi qui sono di casa; ma vi sono anche dei virtuosi, c’è qui molta virtù volenterosamente impiegata: -
Molta virtù volenterosa con dita da scrivano e col didietro indurito per lunghe sedute d’attesa, benedetta da piccole stelle da portare sul petto e da figliole impagliate e senza fianchi.
C’è anche molta pietà devota e molta credula piaggeria e adulazione davanti al dio degli eserciti.
“Dall’alto” goccia qui la saliva benigna che dispensa le stelle; verso l’alto anela qui ogni petto, cui non sia appuntata la stella.
La luna ha il suo alone, che è il suo corteggio, e la Corte ha le sue informi creature lunari: ma il popolo accattone, la volenterosa virtù degli accattoni volge la sua preghiera a tutto quanto proviene da Corte.
“Io servo, tu servi, noi serviamo” – così prega ogni virtù volenterosa, rivolta in alto verso il sovrano: perché alla fine la stella al merito si appunti sul petto intisichito!
Ma la luna gira intorno a tutto quanto è terrestre: così pure il sovrano gira intorno alla più terrestre delle cose - : che è l’oro dei mercanti.
Il dio degli eserciti non è il dio delle sbarre d’oro; il sovrano propone, ma il mercante – dispone!
Per tutto che in te è luce vigore bontà, Zarathustra! Sputa su questa città di mercanti e torna indietro! Qui il sangue scorre sempre marcio e tiepido e schiumoso per tutte le vene: sputa sulla grande città che è la grande cloaca dove tutta la feccia si raduna schiumeggiante!
Sputa sulla città dalle anime spiaccicate e dai petti intisichiti, dagli occhi aguzzi, dalle dita viscide – - sulla città degli importuni, degli sfrontati, degli strilloni e scribacchini, degli ambiziosi in fregola: - dove tutto ciò che è fradicio, scellerato, lubrico, buio, infrollito, ulceroso, sotterraneo conviene insieme in un’unica piaga: -
- sputa sulla grande città e torna indietro!» - -

Ma qui Zarathustra interruppe il pazzo furioso e gli tappò la bocca.
«Finiscila! Gridò Zarathustra, è un pezzo che il tuo parlare e la tua specie eccitano il mio schifo!
Perché hai abitato così a lungo presso la palude, tanto da diventare tu stesso rana e rospo?
Non scorre anche nelle tue vene un sangue di palude, marcio tiepido schiumoso, sì che hai imparato a gracidare e ingiurare in questo modo?
Perché non sei andato nella foresta? O hai arato la terra? Forse che il mare non è pieno di verdi isole?
Io disprezzo il tuo disprezzare; e perché hai messo in guardia me e non te stesso
Soltanto dall’amore deve volare a me il mio disprezzo, come un uccello ammonitore: ma non dalla palude! –
Ti chiamano la mia scimmia, pazzo furioso: ma io ti chiamo il mio maiale grugnente, - col tuo grugnito rovini anche il mio elogio della follia.
Che cosa ti ha indotto a grugnire? Che nessuno ti abbia mai adulato abbastanza: - per questo ti sei messo presso questo sozzume, per aver motivo di molti grugniti, -
-Per aver motivo di molta vendetta! Vendetta infatti è tutto il tuo inveire, pazzo vanesio: così ti o smascherato!
Ma le tue folli parole mi arrecano danno, persino quando hai ragione! E se la parola di Zarathustra avesse cento volte ragione: tu con la mia parola non potresti che far sempre – torto!».
Così parlò Zarathustra; poi contemplò la grande città, sospirò e tacque a lungo. Infine parlò così:

Anche questa città mi ripugna e non solo questo pagliaccio. Qui e lì non c’è nulla da migliorare né da peggiorare.
Guai a questa grande città! – E io vorrei già vedere la colonna di fuoco, in cui sarà incendiata!
Perché tali colonne di fuoco debbono precedere il grande meriggio. Ma tutto ciò ha il suo tempo e il suo destino. –
Ma a te, pazzo, do questo insegnamento per congedo: dove non è più possibile amare, bisogna – passare oltre! –

Così parlò Zarathustra e passò oltre il pazzo e la grande città.

(Da Fiedrich Nietsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 1986, pp. 214-217)

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