mercoledì 16 marzo 2011

IL CIGNO NERO

Il confine che c’è tra il bene e il male non è mai stato così labile come nella storia raccontata dal regista Darren Aronofsky; il passaggio tra luce ed ombra viene portata fino al culmine massimo e questo anche grazie alla splendida prova della delicata e bellissima Natalie Portman. Con “Il cigno nero” il regista mette in scena un vero e proprio thriller-psicologico a tinte horror che trascina lo spettatore in una aspirale di tensione ed angoscia; lascia senza fiato, occhi spalancati ed incredulità.
Nina (Natalie Portman) è una ballerina di danza classica ormai sulla soglia della maturità artistica; per la preparazione del balletto del lago dei cigni di Ciajkovskij viene scelta dal suo direttore, Thomas Leroy (Vincent Cassel), per interpretare Odette, la fanciulla colpita da una maledizione che la trasforma in cigno nelle notti di luna piena. Nina è una professionista dedita alla fatica e al duro lavoro; è alla ricerca della perfezione cosa questa che assilla sia lei che la madre, una ormai vecchia ballerina che già da tempo percorre il suo viale del tramonto. Per entrare al meglio nella parte di Odette, Nina deve togliersi di dosso i panni della brava ragazza e tirar fuori il suo lato oscuro; cigno bianco e cigno nero devono coesistere in un unico corpo, senza che l’uno escluda l’altro. Questa ricerca del buio porterà Nina a fare i conti con i suoi stessi demoni chiamati: follia e morte.
Sono parecchi i punti chiavi che emergono nel film di Aronofsky; innanzitutto il classico tema del doppio, che ormai è diventato un tassello fondamentale in questi lavori dove l’aspetto psicologico è tutto; qui infatti, Nina deve fare i conti non soltanto con la sua voglia di primeggiare, ma soprattutto si troverà di fronte al suo stesso io, di fronte a tutto quello che ha sempre evitato, di fronte al suo riflesso più intimo. Il totale/parziale cambiamento del carattere della protagonista è la prova tangibile che il cigno nero è finalmente entrata a far parte di lei.
E poi c’è la madre di Nina, una inquietante donna di mezza età con un passato di ballerina alle spalle costituito da piccole parti mai importanti; è in un certo senso ossessionata dalla figlia e le riversa dentro tutte le sue speranze di riuscire a toccare le alte vette del successo, cosa che in passato lei non ha mai raggiunto. Per questo sprona Nina al lavoro ed alla fatica, la distoglie dalle frivolezze di tutti i giorni, la controlla giorno e notte; Nina non può fallire, anche perché questo significherebbe far fallire anche la madre. Sembra quasi che la ragazza e la donna siano quasi un riflesso del passato/futuro, di ciò che è stato e di ciò che sarà di una ballerina.
Da sottolineare anche la prova (seppur breve) di una Winona Ryder sempre all’altezza di questi ruoli: una ballerina che decide, forse prematuramente, di ritirarsi dalle scene e per questo riversa nell’autolesionismo tutta la sua rabbia; la fine della sua carriera coinciderà con l’ascesa di Nina e quindi con l’inizio del calvario della nuova stella del balletto.
“Il cigno nero” è dunque un film basato principalmente sul distico ragione/follia, sulla voglia di primeggiare e di ottenere il successo con tutti i mezzi a nostra disposizione; un lavoro, quello di Aronofsky, dove la mente umana è la vera protagonista, dove niente è vero, ma tutto è concesso.

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