venerdì 2 settembre 2011

MAUS


















Il termine “Graphic Novel” (o romanzo grafico) apparve per la prima volta negli Stati Uniti intorno agli anni Settanta; con esso si indicava appunto il racconto di una storia attraverso vignette e disegni appartenenti al classico fumetto conosciuto. L’idea che sta alla base del romanzo a fumetti è sia la rinuncia alla serialità tipica delle più famose “strisce”, sia l’abbandono del personaggio/protagonista come punto chiave della storia; mettere dunque da parte l’eroe invincibile che non muore mai e cominciare a trattari temi legati alla realtà umana attraverso fatti realmente accaduti. Si può benissimo dire che mai, prima della graphic novel, il fumetto si era spinto fino a questo punto; così, argomenti che in passato erano del tutto estranei al “mondo della vignetta”, divengono punti fondamentali per il fumetto stesso.
Nell’universo della graphic novel un posto di prim’ordine merita, senza ombra di dubbio, “Maus” dell’ottimo Art Spiegelman. Scritto nel 1973, il primo volume dell’opera esce nelle libreria intorno al 1986; il secondo, invece, vede la luce nel 1986 e diventa di “dominio pubblico” nel 1991. In Maus si raccontano due esistenze, due volti differenti di una stessa medaglia animati dallo stesso sangue, anche se, a volte, tanto distanti. Stiamo parlando di Vladek Spiegelman, padre dell’autore, che ha vissuto le terribili atrocità dell’Olocausto, e dello stesso Art, un figlio che vive il suo difficile rapporto con il padre. A creare una sorta di legame tra i due è proprio il progetto Maus: Art decide di raccogliere le testimonianze del padre e narrarle in prima persona, il tutto sotto forma di fumetto. Maus si trasforma, così, in una sorta di reportage, sospeso su due corde: sulla prima scorre il triste passato di Vladek nei campi di concentramento nazisti, sulla seconda viaggia invece l’eterno rapporto padre/figlio. È dunque una specie di autobiografia a fumetti quella che l’autore ci consegna, e lo fa non solo per far conoscere al grande pubblico gli orrori dell’Olocausto raccontandoli attraverso gli occhi di qualcuno che l’ha vissuto (Vladek), ma anche per “mettere in scena” una macchia indelebile della civiltà attraverso un mezzo del tutto nuovo ed inconsueto (il fumetto).
E poi c’è il segno indelebile di Maus rappresentato dai personaggi e dalle loro maschere. Spiegelman “cuce” infatti sui volti dei personaggi delle maschere da animale, maschere che stanno ad indicare l’indole stessa del popolo rappresentato e le sue caratteristiche tipiche. Ed ecco che gli ebrei vengono raffigurati con volti di topo, i tedeschi come gatti, i polacchi come maiali ed i francesi come rane. Una vera e propria metafora dunque che, per certi versi, può essere accostata alle metafore riformiste del Rinascimento che tanto abbondavano nelle famose xilografie, quando cioè i cattolici deridevano i protestanti rappresentandoli con tratti animaleschi.
Maus diventa così unico nel suo genere, un’opera che ci fa entrare nella vita segreta dell’autore e che getta un po’ di luce su una delle vicende più nere del mondo contemporaneo.

Emiliano Sportelli

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