lunedì 28 novembre 2011

PARTIGIANI E INDIFFERENTI














INDIFFERENTI di Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel (in 'Diario', Carabba, Lanciano, 1912, p. 82) che "vivere vuol dire essere partigiani". non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L'indifferenza è il peso della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.

L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene che si proponevano.

I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto a ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato, perché non è riuscito nel suo intento.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

11 febbraio 1917


[Tratto da A. Gramsci, 'Odio gli indifferenti', Chiarelettere, Milano, 2011, pp. 3-6]

L'illustrazione è di Lina Rignanese (Rebis)

domenica 27 novembre 2011

MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA' 2013

Il 24 e 25 marzo 2011 il Consiglio europeo aveva deciso di modificare il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) riguardo all’istituzione del meccanismo europeo di stabilità (MES) e aveva chiesto alle singole nazioni di firmare entro il 31 dicembre, affinché essa possa entrare in vigore il 1° gennaio 2013. Durante la seduta dell’11 luglio scorso, tutti i membri del Consiglio hanno approvato tali modifiche. Si attende ora soltanto l’iter parlamentare nei singoli Stati.

A questo punto mi chiedo: “Come mai nessun giornale ne ha parlato?” e ancora “Perché, invece, il Presidente del Consiglio Monti e tutti i vari intervistati continuano a ripetersi sulla necessità di un fondo di stabilità europeo, quando è già previsto e lo sanno benissimo?”.

Proviamo ad andare con ordine, dal momento che non è materia di mia competenza.

Cos’è il MES?
È innanzitutto un’aggiunta all’articolo 136 del Trattato che afferma: “Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell'ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità.”
Il MES ricoprirà il ruolo del fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e del meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) nel fornire assistenza finanziaria esterna agli Stati membri della zona euro dopo il giugno 2013.
Il prestito finanziario sarà concesso a condizione che Commissione, BCE e FMI, di concerto, valuteranno la sostenibilità del debito pubblico da parte dello Stato richiedente. Ossia, se lo Stato potrà o meno pagare il debito (più interessi) entro i tre anni previsti. Oltre alla valutazione, MES, FMI e BCE entreranno di diritto nella politica economica dei singoli Stati attraverso un programma di aggiustamento macroeconomico che porterà ad aprire (obbligatoriamente!) il mercato interno nazionale al settore privato secondo le modalità “pienamente conformi alla prassi del FMI” – si legge nel testo – e questo dovrebbe rappresentare una garanzia!

Governance e struttura
Il MES avrà un consiglio dei governatori composto dai ministri delle finanze degli Stati membri della zona euro (quali membri con diritto di voto), come osservatori il commissario europeo per gli affari economici e monetari e il presidente della BCE. Il consiglio dei governatori eleggerà tra i membri con diritto di voto un presidente.
Il MES avrà un consiglio di amministrazione che svolgerà i compiti specifici che verranno delegati dal consiglio dei governatori. Quest’ultimo nominerà un amministratore delegato responsabile della gestione quotidiana del MES. Ogni decisione sulla concessione del finanziamento deve essere presa all’unanimità dai membri con diritto di voto – aspetto che renderà i lavori assolutamente difficili e farà venire al pettine le rivalità e gli interessi dei singoli Stati.

Struttura del capitale
“Il MES mirerà ad ottenere e mantenere il più alto rating del credito delle grandi agenzie di rating.” Affermazione che di per sé puzza, dal momento che le agenzie di rating non sono indipendenti .
Il MES avrà un capitale sottoscritto totale di 700 miliardi di EUR, ma di questi solo 500 miliardi potranno essere finanziati. Dell’importo totale 80 miliardi saranno versati dagli Stati membri della zona euro in cinque rate annuali di uguale importo, a partire dal luglio 2013. L’Italia parteciperà con la quota di 17, 914 miliardi di euro (la quota viene calcolata sul capitale che ogni Stato ha versato alla BCE). La prima rata dovrà essere versata entro 15 giorni dall’entrata in vigore del Trattato! Inoltre, il MES disporrà anche di una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro per un importo totale di 620 miliardi di EUR.
Il MES fruirà dello status di creditore privilegiato in modo analogo all'FMI, pur accettando che lo status di quest’ultimo prevalga sul primo.

La cosa che non mi riesce di capire è come sarà possibile, per gli Stati già oggi completamente sommersi dai propri debiti, quali Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia, riuscire a versare il capitale che andrà a confluire nel fondo europeo per la stabilità e insieme ripagare i debiti e far ripartire l’economia? Basteranno per tutti i 500 miliardi di euro o sono pochini e soprattutto tardivi?

Partecipazione dell'FMI
“Il MES coopererà molto strettamente con l'FMI nella fornitura di assistenza finanziaria. In tutte le circostanze si chiederà la partecipazione attiva dell'FMI, a livello sia tecnico che finanziario. La Commissione e l'FMI, di concerto con la BCE, effettueranno congiuntamente un'analisi della sostenibilità del debito. La Commissione e l'FMI, di concerto con la BCE, negozieranno congiuntamente le condizioni di politica alle quali è subordinata l'assistenza congiunta di MES/FMI.” Sarà di fatto un potere congiunto tra MES/BCE/FMI che andrà a scavalcare i governi dei singoli Stati, nel nome di una selvaggia liberalizzazione.
A partire dal luglio 2013, per favorire un accordo tra il debitore sovrano e i suoi creditori del settore privato, le clausole d’azione collettiva (CAC) integreranno tutti i titoli di Stato nuovi della zona euro con scadenza superiore a un anno.

Al di là dei complicati tecnicismi economico-finanziari, quello che si percepisce è la direzione che la Comunità europea ha deciso di percorrere (e senza consultare i cittadini europei!), incapace di proporre un’alternativa a questo sistema di neo-liberismo alla deriva. Se la finanza finora bussava alle porte delle nostre democrazie, in questo modo, le porte saranno spalancate e ad accoglierla ci sarà un comitato di benvenuto con tanto di aperitivo e bon ton made in Europe.

Quello che m’inquieta maggiormente sarà il potere e l’immunità che saranno concessi a questi signori della nuova Europa.

Potere e immunità della Governance

Art.27

il MES ha privilegi e immunità su tutto il territorio UE.

Il MES ha piena personalità giuridica e può partecipare a processi legali, ma non può essere oggetto di processi legali.

Il MES , e i propri beni, finanziamenti, risorse, ovunque si trovino e chiunque li detenga godono di totale immunità da ogni forma di processo giudiziario, solo il MES può rinunciare ai suoi privilegi e alle sue immunità.

La proprietà, il finanziamento e le attività del MES, ovunque si trovino, sono esenti da perquisizione, requisizione, confisca, espropriazione o qualunque altra forma di sequestro da parte di qualsivoglia potere esecutivo, giudiziario, amministrativo o legislativo.

Gli archivi del MES e tutti i documenti appartenenti alla MES o detenuti da essa, sono inviolabili.

I locali del MES sono inviolabili.

Nella misura necessaria per svolgere le attività previste dal presente trattato, tutti i beni, finanziamenti e le attività del MES sono esenti da restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie di qualsiasi natura.

art. 29

tutti i membri o ex membri o chiunque lavora o ha lavorato per il MES sono tenuti ad applicare il segreto professionale sulle attività del MES. Anche dopo la cessazione lavorativa essi sono tenuti a non divulgare informazioni coperte dal segreto professionale.

art. 30

Nell’interesse del MES i presidenti, i governatori che si alterneranno, i direttori, gli amministratori delegati e altri membri dello “staff” sono immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nella loro ufficiali capacità e godono dell’inviolabilità per le loro carte e documenti ufficiali.

art 31

tutte le attività del MES, patrimoni, redditi, proprietà, le sue operazioni sono esenti da qualsiasi imposta diretta. Tutte le merci importate da MES per svolgere la sua attività sono esenti da tasse doganali, dazi, e da tutte le proibizioni o restrizioni all’importazione.

art 33

Il MES è autorizzato a cooperare con il FMI o qualsiasi organismo non appartenente all’area euro che fornisca assistenza finanziaria ad hoc.


Gli articoli sono stati tradotti da Marco Ares Rossi http://freeyourmindfym.wordpress.com/2011/10/26/mes-meccanismo-europeo-di-stabilita/


Qui potete trovare il testo delle conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011:
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/120304.pdf

Questo è il testo integrale del Trattato (in inglese): http://consilium.europa.eu/media/1216793/esm%20treaty%20en.pdf

Lina Rignanese

Qui potete vedere un video che potrà facilitare a comprendere e farsi un quadro della situazione:

lunedì 21 novembre 2011

LIBIA 2011

Christian Elia ha intervistato Paolo Sensini, autore di 'Libia 2011', che denuncia una verità sommersa dietro il cambio di regime a Tripoli.

La guerra in Libia è finita. Questo almeno raccontano, o non raccontano, i media internazionali. Il dittattore è morto, la democrazia ha trionfato e adesso si lavora alla costruzione della nuova Libia. Ci sono, però, voci fuori dal coro. Una di queste è quella di Paolo Sensini, saggista e scrittore, autore del libro Libia 2011, edito da JacaBook. Sensini, intervistato da PeaceReporter, racconta le sue indagini sui motivi reconditi di quella che ritiene un'azione volta ad eliminare Gheddafi e delle motivazioni che ne hanno deciso la fine. Dopo aver visto di persona la situazione, in quanto membro della Fact Finding Commission on the Current Events in Libya.

Com'è la situazione in Libia?
Il caos, con il Paese - come diceva qualcuno - riportato all'età della pietra e sull'orlo di una crisi umanitaria. In un Paese, piaccia o meno, che prima era un'eccezione positiva nella regione. Adesso si assiste a una sorta di guerra di tutti contro tutti, dove la situazione è degenerata non solo tra i ribelli e i lealisti, ma anche all'interno dello schieramento degli insorti. Non so se era stato previsto o meno, ma di sicuro era largamente prevedibile. Arrivano, ogni giorno, notizie di scontri armati tra fazioni per l'egemonia all'interno del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt). Come ho ampiamente documentato nel libro, tra queste fazioni, la componente preponderante è quella legata ad al-Qaeda e all'islamismo fondamentalista. Rispetto ai lealisti, invece, si è avuta notizia negli ultimi giorni di un forte contingente (circa 33mila uomini) che si è ricompattato e ha dato battaglia a Zawiah e in altre zone. E credo che questa sarà una fase molto lunga.

Questo quadro potrebbe essere dovuto alla mancanza, come già accaduto in Iraq e in Afghanistan, di una strategia di lungo periodo, che dovesse prevedere gli scenari una volta che il regime fosse stato rovesciato?
Il progetto c'era come c'era anche in altri conflitti. Ed era proprio quello di gettare nel caos un Paese del quale tutti conoscevano la composizione sociale. Un sistema tribale nel quale, a differenza di quanto si è raccontato, esisteva un equilibrio differente da quella che secondo parametri nostri chiamiamo dittatura.
E' più corretto parlare di un primus inter pares, che per altro non ricopriva alcuna carica politica ufficiale. Gheddafi era la guida, una figura carismatica, che in quanto leader della Rivoluzione teneva in equilibrio un mondo di un centinaio di tribù differenti. Gli analisti, tutto questo, lo sapevano benissimo. Dal mio punto di vista l'obiettivo, fin dall'inizio, era questo caos. Il primo gruppo di ribelli, molto ridotto, a Bengasi si sono inseriti in un colpo di Stato classico. Se un gruppo armato assalta edifici pubblici, in qualsiasi Paese, esercito e polizia reagiscono. Gli analisti sapevano dall'inizio che a questo gruppo mancava la forza di imporsi alle tribù in Libia. Quelle della Tripolitania e del Fezzan mai avrebbero accettato, e mai accetteranno, di essere dominate da questo piccolo gruppo della Cirenaica, che rappresenta circa il 25 percento della popolazione libica. Quando si è deciso di appoggiare questa cosiddetta rivolta, il piano più che evidente era quello di destabilizzare un Paese.


Secondo lei per quale motivo si è deciso di liberarsi di Gheddafi?
Di sicuro le sue scelte in campo petrolifero hanno influito nella decisione di rimuoverlo. A culmine di una lunga storia, che inizia con la rivoluzione del 1969 e con la nazionalizzazione di gas naturale e petrolio. Come c'entra di sicuro la monumentale opera idrica realizzata, negli anni Ottanta, il Grande Fiume artificiale, che fa gola a molti. La partita più grossa però, a mio avviso, come dimostro nel mio libro, è la politica di Gheddafi con l'Unione Africana. Della quale il Colonnello era l'artefice, il motore propulsore. Lavorando a un'unione doganale africana, con una banca centrale e un fondo monetario africano, in una prospettiva unica nella storia di dare all'Africa una propria politica di sviluppo lontana dalla politica colonizzatrice delle grandi potenze. Lavorava già alla moneta unica: il dinaro d'oro. Un'iniziativa già in fase avanzata che ora viene affossato in modo decisivo. Il primo passo era già stato compiuto, togliendo dalla circolazione il Franco CFA, utilizzata da quattordici ex colonie francesi. Mossa per la quale il presidente francese Nicholas Sarkozy accusò Gheddafi di terrorismo finanziario. Con il solito atteggiamento per il quale all'Europa è riconosciuta la dignità politica di creare una moneta unica, mentre all'Africa no. Un altro esempio, in questo senso, è quello del satellite RASCOM 1. Anche in questo caso la Libia era stato il motore dell'iniziativa che liberava gli stati africani dalla necessità di affittare i satelliti altrui.
Queste e altre iniziative di indipendenza sono state il motivo per rovesciare Gheddafi, compreso la gestione del petrolio.

In questo piano, la morte di Gheddafi rappresenta un incidente di percorso o una strategia precisa?
E' stato l'obiettivo principale, fin dall'inizio. Lo dimostrano i bombardamenti. La missione Nato è stato un intervento armato a tutti gli effetti, altro che Responsibility to Protect, come nel mandato per la protezione dei civili. Scientemente, dal primo momento, si è perseguito l'obiettivo di eliminare Gehddafi. E' stato subito ucciso un figlio del Colonnello e i suoi nipotini, ed è stata colpita Bab el-Azizia - il luogo della sua residenza abituale - decine e decine di volte.
Noi stessi, con la Commissione, abbiamo potuto verificarlo di persona. Una strategia che è terminata solo con la morte di Gheddafi. Anche in quell'occasione, inoltre, non è stato catturato dai ribelli. La sua colonna in fuga è stata bombardata da caccia inglesi e francesi con il supporto di droni, senza che ci fossero civili in pericolo. La morte di Gheddafi era l'obiettivo principale della missione, che fa cadere la foglia di fico della protezione dei civili. La Nato è intervenuta, dall'inizio, per mutare lo scenario politico del Paese. Provocando vittime tra i civili, anche se si diceva che si interveniva per proteggerli, andando ben oltre un mandato che prevedeva solo una no fly zone. Non a caso la missione è finita con la morte di Gheddafi. Passando a quel punto il testimone al Qatar, vero artefice del cambio di regime, prima con al-Jazeera a livello mediatico, e poi a livello militare con le armi e i combattenti che sono stati fatti affluire in Libia.

Qual'è il ruolo dell'Italia in tutto quello che è accaduto?
L'Italia non esce bene da questa vicenda. Un legame importante, cominciando dal ruolo di fornitore energetico della Libia per l'Italia con la pipeline che collega Mellitah a Capo Passero. Che era una delle misure contentute nel Trattato di Cooperazione e Amicizia disatteso e tradito in modo fraudolento dall'Italia. E l'Italia non ne esce bene. A cominciare dal fatto che è stato disatteso l'articolo 11 della Costituzione, a partire dal presidente della Repubblica Napolitano, che della Costituzione è garante. Come lo è dei trattati internazionali e anche lui ha firmato il Trattato di Amicizia. Che piaccia o meno chiudeva un contenzioso storico. Due anni dopo siamo coinvolti in un conflitto, guarda caso, per l'ironia della storia, esattamente cento anni dopo l'occupazione italiana della Libia.

Cosa crede che accadrà in Libia?
A Bengasi, qualche giorno fa, sul palazzo di Giustizia, campeggiava la bandiera di al-Qaeda. Jalil, presidente del Cnt, lo ha dichiarato: tutte le leggi che verranno promulgate non dovranno essere in contraddizione con la sharia, con tutto quello che questo comporta. Decisamente un passo contraddittorio per un Paese nel quale si è intervenuti per portare la democrazia. A Tripoli, il comandante della piazza militare è Abdelhakim Belhaj, fondatore del Gruppo Islamico Libico Combattente, una delle personalità di riferimento di al-Qaeda, come sostenuto dagli stessi statunitensi che lo hanno arrestato in Iraq prima e in Afghanistan dopo, facendolo passare da svariate carceri tra le quali Guantanamo. Questo è il quadro che emerge, con un islamismo radicale che Gheddafi ha tentato di contenere. E del quale poco si sa in Italia. Io ho lavorato su questo aspetto, dedicandogli un capitolo del mio libro, con studi che arrivano dall'accademia militare Usa di West Point, dai quali emerge che il numero più consistente di attentatori suicidi - in percentuale rispetto alla popolazione - proviene dalla Cirenaica. Con la variabile che un arsenale enorme e moderno è finito nelle mani di questi personaggi. C'è poco da aspettarsi, secondo me, in senso democratico. Al contrario di quello che certi soloni occidentali hanno sostenuto e continuano a sostenere.

Fonte: PeaceReporter

Sullo stesso argomento: l-[A]lter-Maledetta Primavera

sabato 19 novembre 2011

SCIALLA! (stai sereno)


















È nelle sale da ieri – distribuito in 250 copie – il debutto alla regia dello sceneggiatore Francesco Bruni. Vincitore del Premio Controcampo alla Mostra del Cinema di Venezia. Si tratta di una “commedia scialla” - come l’ha definita l’autore – che sta a indicare un genere leggero, parlato in gergo giovanile, ma anche il modo di stare al mondo con lentezza e tranquillità. Quasi un inno ai tempi pacati (dinanzi al vorticoso balenare di barzellette, sorrisi e faccine di cui son piene le tradizionali commediole nostrane) e al lento incedere di chi, seduto dietro la scrivania, studia, pensa e riflette, non senza sacrifici e sforzi di volontà.
Il film ha per protagonisti Bruno (un intenso Fabrizio Bentivoglio), ex-professore, ora ghostwriter e insegnante di lezioni private e Luca (l’esordiente Filippo Scicchitano), uno dei suoi allievi, svogliato come gli altri, ma irriverente e pieno di vita. Un giorno compare nella vita di Bruno Marina (Arianna Scommegna), la mamma del ragazzo, che gli confessa la sua genitorialità e gli affida il figlio per motivi di lavoro. Viene a crearsi una convivenza sopra le righe, tra scontri e ritrovamenti, che porterà padre e figlio a crescere e a modificare atteggiamenti che sembravano aver assunto fasi stantìe e logore (per Bruno) e pericolose (per Luca).
Al fascino che il liceale subisce per i film di “delinquenti”, per la “credibilità da strada”, che implica il rispetto preteso con la violenza e con il timore, il professore contrapporrà quel rispetto gratuito, che gli altri ti danno senza voler ricevere nulla in cambio (assumendo la “pietas” di Enea a modello educativo). D’altro canto, all’apatia, alla routine, all’inerzia della vita di Bruno, la vicinanza di Luca porterà a mutare in coraggio, presa di posizione, forza di cambiare.


In trasparenza, però, il film appare come un elogio a quelle donne e madri che scelgono di crescere da sole i propri figli, caparbie, forti e altruiste, dinanzi a uomini sciatti, deboli, privi carattere e incapaci di assumere quel ruolo che deve affetto e nel contempo limiti. Saranno, inoltre, proprio i personaggi femminili (oltre a Tina e Marina c’è anche la prof.ssa Di Biagio, Raffaella Lebboroni) a mettere in crisi l’uomo-Bruno, a sbattergli in faccia realtà che lui non vede (o non vuole) e che gli evolveranno la vita.


Vien fuori anche uno spaccato di vita medio-borghese, dove all’imbarbonimento degli intellettuali – il regista ammette di essersi ispirato, per il personaggio di Bruno, al Lebowsky dei fratelli Coen e al Geppetto di Nino Manfredi – è contrapposta la ricchezza e l’estetica delle ville e dei macchinoni da parte di un boss della malavita (Vinicio Marchioni) e di una ex-pornostar ora produttrice di film hard (la bella Barbora Bobulova). Questi ultimi però sorprendentemente amanti dell’arte, così, se “er Poeta”, oltre alla droga e ai festini, apprezza Truffaut, Tina (Bobulova) suona Chopin al pianoforte. Dunque, anche i personaggi meno positivi si riscattano per sete di cultura.
Sta proprio in questo invito ad acculturarsi il messaggio (poi non così) nascosto del film. Da consigliare ai più giovani, che ben si riconosceranno nell’ottimo Scicchitano e nelle musiche di Amir Issaa & Ceasar Productions, e agli adulti, per confrontarsi con le proprie ansie e con la ridicolezza di certe scelte troppo seriose e pesanti.

Lina Rignanese

martedì 8 novembre 2011

APPROVATA LA CARTA DI FIRENZE













La Carta di Firenze è stata oggi approvata all'unanimità (tre gli astenuti) dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.
Il testo, fortemente appoggiato dal Presidente dell'Ordine, Enzo Iacopino, è quello approvato a Firenze durante la due giorni di incontri e assemblee sul 'Precariato Giornalistico'.
Il documento "della deontologia sulla precarietà nel lavoro giornalistico" mira a garantire una congrua retribuzione per il lavoro svolto, sia esso autonomo che subordinato. Si prevede, inoltre, la costituzione di un 'Osservatorio permanente sulle condizioni professionali dei giornalisti', che avrà il compito di vigilare sull'effettiva applicazione della carta, di proporre aggiustamenti e segnalare condizioni di sfruttamento. Sono previste sanzioni non solo per chi offre, ma anche per chi accetta un lavoro sottopagato o non pagato.


Una CRITICA va fatta, a mio avviso. A pag.4 si legge: "Gli iscritti all’Ordine sono tenuti a non accettare corrispettivi inadeguati o indecorosi per il lavoro giornalistico prestato", quest'affermazione non tiene conto della presenza di lavoratori precari NON iscritti all'Ordine (per scelta o per problemi burocratici derivati dal sistema giornalistico finora altamente precarizzato). Un tallone d'Achille che rischia di non rendere fattibili i buoni propositi.
Si spera che i futuri aggiornamenti possano comprendere anche questa categoria, la più fragile, peraltro.
Intanto, non si può che essere contenti di questo primo e significativo passo in avanti.

Qui potete leggere l'intero testo: http://www.odg.it/files/carta%20di%20firenze%20ULTIMA.pdf

Lina Rignanese

lunedì 7 novembre 2011

EFFETTO VALANGA

Vi propongo qui l'inchiesta giornalistica di Michele Buono mandata in onda a Report (programma di Milena Gabanelli) lo scorso 30 ottobre 2011.
'L'effetto valanga' dei mercati finanziari è proprio quello che sta capitando sopra le nostre teste in questo periodo storico. Sarebbe doveroso che ognuno di noi approfondisse una materia ostica come la finanza. Questo doc potrebbe essere un buon punto di partenza per capire come si crea e si gestisce in Borsa il debito di una nazione, come si crea e si moltiplica la ricchezza, come pochi decidano sulle nostre vite, come ci troviamo a vivere in una bolla assurda per il divertimento di poche società finanziarie (ricordiamo che noi siamo il 99% e loro l'1%).

Solo qualche dato per capire come i soldi, in realtà, non sono magicamente spariti nel vortice della crisi, ma si trovano concentrati nelle tasche di pochi soggetti, che la crisi la azionano con un click del mouse. Cinque banche controllano il 95% del mercato mondiale. Sembrerebbe un film di fantascienza, ebbene NON lo è.

Dati del 2010:

PIL del mondo: 74.000 miliardi di $;
Obbligazioni: 95.000 miliardi di $;
Borse: 50.000 miliardi di $;
Titoli Derivati: 466.000 miliardi di $.

E' evidente come la finanza non "guardi proprio in faccia" alla complessiva produzione interna lorda di tutti gli Stati del mondo.

Concludo con un botta e risposta di Michele Buono che intervista Andrea Fumagalli, docente di Economia Politica all'Università di Pavia.

D:"Quindi, quando i cittadini dei vari Stati, Italia compresa, devono tirare la cinghia, nei confronti di chi lo fanno?"

R:"Delle dieci società finanziarie che governano i mercati finanziari".

Buona visione!

LR

domenica 6 novembre 2011

ADATTATI E DISADATTATI














Terza pagina dedicata al genio di Fernando Pessoa e al suo alter-ego più intimo ed enigmatico, Bernardo Soares, autore del 'Libro dell'Inquietudine'.

Le precedenti citazioni:
http://l-alter.blogspot.com/2011/05/il-signor-vasques-e-la-rua-dos.html
http://l-alter.blogspot.com/2011/06/alla-fine-ho-sonno.html


245 (476)

Ah, quale errore doloroso e crasso la distinzione che i rivoluzionari stabiliscono fra borghesi e popolo, fra nobili e popolo, fra governanti e governati! La distinzione è piuttosto fra adattati e disadattati: il resto è letteratura, e cattiva letteratura. Il mendicante, se è un adattato, domani può essere re, però con ciò ha perso la virtù di essere mendicante. Ha passato la frontiera e ha perso la nazionalità.
E' questo che mi consola in quest'ufficio angusto le cui finestre mal lavate danno su una strada priva di allegria. Questo mi consola e in ciò ho come fratelli i creatori della coscienza del mondo: il drammaturgo sbalestrato William Shakespeare, il maestro di scuola John Milton, il vagabondo Dante Alighieri, [...] e perfino, se mi è consentita la citazione, quel Gesù Cristo che non è stato niente nel mondo, tanto che la Storia dubita di lui. Gli altri sono di un'altra specie: il consigliere di Stato Johann Wolfgang von Goethe, il senatore Victor Hugo, il capo Lenin, il capo Mussolini.
Noi, nell'ombra con i facchini e con i barbieri, costituiamo l'umanità.
Da una parte ci sono i re, con il loro prestigio, gli imperatori con la loro gloria, i geni con la loro aura, i santi con la loro aureola, i capi del poolo con la loro autorità, le prostitute, i profeti e i ricchi... Dall'altra ci siamo noi: il facchino dell'angolo della strada, il drammaturgo sbalestrato William Shakespeare, il barbiere delle barzellette, il maestro di scuola John Milton, il garzone della bottega, il vagabondo Dante Alighieri, coloro che la morte dimentica o consacra, o che la vita ha dimenticato e non ha consacrato.


NOTE:
i numeri stanno a indicare la posizione all’interno delle due versioni di riferimento:
- F. Pessoa,‘Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares', prefazione di A. Tabucchi, ed. Feltrinelli, 2008.
- I numeri tra parentesi da: F. Pessoa, ‘Livro do Desassosego por Bernardo Soares’, prefacio e organização de Jacinto do Prado Coelho, Ática, Lisboa, 1982, 2 voll.

LR